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Il rendimento dei titoli di stato italiani a 9 mesi ha superato quello dei titoli greci: significa che nel breve termine l'Italia è percepita come più a rischio della Grecia, spiega Federico Fubini

(AP Photo/Petros Giannakouris)
(AP Photo/Petros Giannakouris)

Sul Corriere della Sera di oggi, il vicedirettore Federico Fubini racconta che in una particolare categoria di titoli di stato l’Italia sta ottenendo risultati peggiori della Grecia. Ieri sera, infatti, i titoli di stato italiani in scadenza nel marzo 2019 offrivano un rendimento pari allo 0,79 per cento, mentre gli equivalenti greci rendevano lo 0,75 per cento. Il rendimento è l’interesse chiesto dall’investitore in cambio dell’acquisto del titolo di stato: più alto è l’interesse chiesto, più significa che l’investimento è percepito come rischioso. I dati scoperti da Fubini indicano che nel breve termine la Grecia inizia a essere percepita da alcuni investitori come un investimento meno rischioso dell’Italia, dove evidentemente sono attese molte turbolenze nei prossimi mesi.

È dalle trattative per la formazione del governo Conte che sui titoli di stato italiani ci sono pressioni dei mercati, e anche per questo si è tornati a parlare di spread, il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi. Se il fatto che i titoli di stato della Germania rendano meno di quelli italiani è una certezza  –il differenziale sta aumentando anche oggi – è una novità assoluta che accada anche con quelli greci.

Ieri a fine giornata, il sorpasso al quale nessuno aveva pensato è avvenuto. Almeno sulle scadenze a breve termine, i titoli di Stato greci hanno iniziato a offrire un rendimento più basso di quelli italiani. Il premio richiesto dagli investitori per il rischio di comprare un Buono ordinario del Tesoro rimborsabile a marzo 2019 era più alto di quello di un governo espulso da anni dal mercato dei capitali come quello di Atene.

Almeno in questo, e almeno per ora, l’Italia è scivolata in ultima posizione nell’area euro. Ieri sera i Bot a nove mesi rendevano lo 0,79% annuo e i loro equivalenti ellenici lo 0,75%. È un sorpasso impensabile anche solo fino a metà maggio, quando uscì il «contratto» di governo M5S-Lega che prevedeva l’opzione di uscita dall’euro e destabilizzò per la prima volta il mercato del debito italiano. Allora il rendimento di quei titoli era negativo (meno 0,40%), considerato ben oltre un punto più affidabile della Grecia.

Ieri sera questa gerarchia era invertita, un evento dall’impatto psicologicamente potente per chi cerca di valutare la credibilità del governo giallo-verde. Per certi aspetti è tutto perfettamente logico nella meccanica dei mercati: chi compra, cerca sempre degli ancoraggi e oggi per le scadenze più ravvicinate quel riferimento è la Grecia; del resto Atene ha un futuro prossimo meno incerto, perché è inquadrata in un programma europeo di assistenza e i grandi partiti ellenici sono esplicitamente impegnati sul futuro del Paese nell’euro e su uno stretto controllo dei conti.

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