Le regioni stanno provando a rendere più efficienti i pronto soccorso

Toscana, Friuli Venezia Giulia e ora Lazio hanno adottato un nuovo sistema di codici di urgenza, e si stanno sperimentando anche altre soluzioni

La sala d'attesa del pronto soccorso dell'ospedale Galliera di Genova. (ANSA/LUCA ZENNARO)
La sala d'attesa del pronto soccorso dell'ospedale Galliera di Genova. (ANSA/LUCA ZENNARO)

La scorsa settimana il Lazio è diventata una delle regioni che hanno recepito una riforma dei codici con i quali si identifica la gravità dei problemi dei pazienti nei pronto soccorso: il triage, come è noto il protocollo. A partire dal 2019, al sistema che prevede quattro colori (rosso, giallo, verde e bianco) sarà sostituito un sistema numerico che va da 1 (per le emergenze) a 5 (per i pazienti meno gravi). È un protocollo presentato nel 2016 dalla Conferenza Stato Regioni, un organo collegiale che favorisce la collaborazione tra Stato e autonomie locali, che però deve ancora essere reso obbligatorio (non si sa quando succederà). A partire dallo scorso gennaio è applicato in Toscana, ma ancora prima era stato adottato in Friuli Venezia Giulia.

L’obiettivo della riforma è quello di provare a risolvere alcuni dei problemi principali nel funzionamento dei pronto soccorso italiani: il sovraffollamento, il ritardo nell’accesso alle cure e la permanenza prolungata nelle sale d’attesa. La principale soluzione individuata era stata migliorare il sistema di triage, cioè il processo di identificazione del problema dei pazienti e della sua gravità, che serve a decidere con che priorità sarà preso in carico dai medici. Attualmente, il sistema funziona con quattro colori: rosso per i pazienti in pericolo di vita, giallo per quelli in stato mediamente critico, verde per quelli in stato poco critico e bianco per i pazienti non urgenti.

Il nuovo sistema individua cinque codici: l’1 per le emergenze, il 2 per le urgenze, il 3 per le urgenze differibili, il 4 per le urgenze minori, il 5 per le non urgenze. Per i pazienti che rientrano nella prima categoria è previsto l’accesso immediato in pronto soccorso, ai secondi entro 15 minuti, poi 60, 120 e 240. Secondo chi ha perfezionato il nuovo protocollo, quello basato sui colori non distingueva sufficientemente i pazienti a cui era attribuito il codice verde, che era quello usato nella gran parte dei casi (il 70 per cento, secondo alcune stime). Tra questi, ha spiegato al Sole 24 Ore Beniamino Susi, direttore del Pronto soccorso a Tor Vergata, «possono annidarsi pazienti a rischio, che poi sono all’origine di problemi medico-legali con le strutture e con i professionisti».

In 8 pronto soccorso generalisti del Lazio, e in tre pediatrici, il nuovo protocollo è stato sperimentato per un mese nel 2017, e ha dato risultati positivi. In particolare, tra gli obiettivi della riforma c’è quello di integrare il nuovo sistema di codici con il “See and Treat” e il “Fast Track”, due “modelli di risposta assistenziale” che dovrebbero migliorare l’efficenza dei pronto soccorso. Il primo è ispirato al modello inglese, ed è già adottato in Toscana. Si applica alle urgenze minori, e in sostanza consiste in una cura fornita in uno specifico ambulatorio nel pronto soccorso dal primo infermiere o medico che abbia l’abilitazione: senza passare dalla struttura principale, quindi. Il secondo, in vigore per esempio in Veneto e in Emilia Romagna, è invece pensato per i pazienti con urgenze minori che necessitano delle cure di uno specialista: l’infermiere che valuta l’urgenza del paziente lo indirizza a un oculista o un otorinolaringoiatra, per esempio, che si occupa direttamente del paziente e lo dimette in autonomia.