Sapete che da quarant’anni rane e rospi affrontano un’enorme epidemia?

Ora finalmente sappiamo da dove arriva il fungo che in questi anni ha fatto estinguere un terzo delle specie di rane

Un esemplare di rana velenosa della specie Dendrobates azureus in un negozio di animali esotici di Parigi, il 29 marzo 2018 (FRANCOIS GUILLOT/AFP/Getty Images)
Un esemplare di rana velenosa della specie Dendrobates azureus in un negozio di animali esotici di Parigi, il 29 marzo 2018 (FRANCOIS GUILLOT/AFP/Getty Images)

Tra gli animali in pericolo di estinzione ci sono quelli di cui si parla molto e spesso (per esempio i panda, ma anche le api) e altri di cui invece si sente parlare meno di frequente nonostante le cose gli vadano molto male: è il caso di rane e rospi di tutto il mondo, che da circa quarant’anni stanno affrontando una gravissima epidemia che si stima abbia fatto estinguere un terzo delle specie di rane. In Italia solo Focus ha dedicato un articolo al più recente studio su questa epidemia, pubblicato su Science l’11 maggio. Realizzato con il contributo di più di cinquanta scienziati di diverse parti del mondo, questo studio ha individuato l’origine del fungo responsabile dell’epidemia, il Batrachochytrium dendrobatidis, nella penisola coreana. Finora non si sapeva da dove arrivasse.

La storia della moria degli anfibi

Tassonomicamente, rane e rospi costituiscono uno dei tre ordini in cui si divide la classe degli anfibi. Smisero di vivere esclusivamente in acqua circa 400 milioni di anni fa e si distinsero da salamandre e tritoni – i componenti dell’altro principale ordine degli anfibi – circa 250 milioni di anni fa: sono in giro da molto più tempo di mammiferi, uccelli e rettili. Anche per questo si trovano su tutti i continenti tranne l’Antartide: quando hanno cominciato a esistere, i continenti erano ancora attaccati nella Pangea. In tutto il mondo sono state identificare più di seimila specie. Grazie alla loro lunga storia gli anfibi hanno anche avuto il tempo di adattarsi a diverse condizioni climatiche: anche se la maggior parte delle specie si trova nelle foreste tropicali, alcune vivono al di sopra del Circolo Polare Artico, altre nel deserto.

Ci siamo accorti che le cose per rane e rospi avevano cominciato ad andare male più o meno all’inizio degli anni Ottanta. In varie parti del mondo gli erpetologi – gli scienziati che studiano anfibi e rettili – notarono che nei posti solitamente abitati da rane e rospi questi animali erano notevolmente diminuiti o addirittura spariti. Non accadde solo in natura: tutti gli esemplari di Dendrobates azureus, un tipo di rana velenosa, che vivevano nel National Zoo di Washington morirono.

Per anni ci fu un dibattito sulle ragioni di questi cambiamenti nelle popolazioni di anfibi: mentre alcuni erpetologi erano preoccupati e pensavano che rane e rospi stessero morendo in gran numero, molti altri erano tranquilli e pensavano che le popolazioni si fossero semplicemente spostate. Pensavano così perché i dati raccolti fino a quel momento non permettevano di capire con chiarezza cosa stesse succedendo: erano scomparse popolazioni di anfibi in zone remote, lontane dalle attività umane, mentre negli ambienti a maggiore contatto con le persone e gli effetti negativi della loro presenza tutto sembrava andare come al solito. Un’altra ragione per cui si faceva fatica a capire cosa stesse succedendo era che in molte parti del mondo non c’erano dati disponibili sulle popolazioni di anfibi, quindi non era possibile capire se le variazioni nel loro numero fossero normali o meno.

La causa della diminuzione di rospi e rane fu scoperta alla fine degli anni Novanta: gli animali stavano davvero morendo in gran numero a causa della chitridiomicosi, una malattia causata da una specie di funghi microscopici che fu battezzata Batrachochytrium dendrobatidis, dal nome delle rane in greco antico. In genere i chitridimicoti, il tipo di funghi di cui fa parte il B. dendrobatidis si nutrono di piante morte, poi ci sono specie che vivono sulle alghe, sulle radici e anche nelle viscere dei bovini, con cui vivono in simbiosi. Si diffondono disperdendo le proprie spore, a loro volta microscopiche, nei corsi d’acqua: si pensa che grazie a questo sistema il B. dendrobatidis sia arrivato un po’ dappertutto, sia in natura che negli zoo. Prima che si scoprisse della sua esistenza non si sapeva che i chitridimicoti potessero danneggiare i vertebrati.

Un esemplare di Atelopus zetequi, una specie di rospi originaria di Panama che viene conservata dagli scienziati in cattività ed è praticamente introvabile in natura, fotografato il 16 aprile 2009 (ELMER MARTINEZ/AFP/Getty Images)

Il B. dendrobatidis non è mortale per tutte le specie di rane e rospi, anche se sembra che prosperi anche su quelle che non uccide. Per alcuni anfibi è letale perché quando colonizza le cellule più superficiali della loro pelle, che è l’organo con cui viene assorbita l’acqua, ne causa un ispessimento e interferisce con il passaggio di alcune sostanze al funzionamento del loro sistema cardiaco: alla fine l’infezione da B. dendrobatidis causa l’arresto cardiaco. Il fungo infetta anche girini ma è letale solo quando gli esemplari raggiungono la maturità.

È stato stimato che il B. dendrobatidis abbia infettato più di settecento specie diffuse in sei continenti. Molte specie si sono estinte, altre hanno subito gravi diminuzioni delle proprie popolazioni. È successo anche in Italia: gli erpetologi italiani si sono accorti per la prima volta della presenza del fungo nel 2001, quando lo trovarono su esemplari di ululone appenninico (Bombina pachypus) nelle colline bolognesi, le cui popolazioni di anfibi da allora hanno subito grosse diminuzioni. In tutto il mondo molti esemplari di rane e rospi sono stati catturati e sono conservati in cattività per evitare la loro estinzione, visto che non ne esistono più esemplari in natura o quasi.

Da dove arriva il B. dendrobatidis

Con lo studio pubblicato la scorsa settimana su Science è stata finalmente determinata con sicurezza l’origine del B. dendrobatidis. Per farlo sono stati confrontati i genomi di 177 campioni di funghi raccolti in varie parti del mondo. La conclusione è che il B. dendrobatidis si sia differenziato tra i cinquanta e i cento anni fa nella penisola coreana e poi si sia diffuso grazie agli scambi commerciali internazionali. Infatti tutti i campioni condividono la maggior parte delle proprie informazioni genetiche con quelle dei funghi trovati sulle rane che vivono in Corea.

Del B. dendrobatidis esistono diverse varietà, alcune delle quali sono più dannose di altre per gli anfibi, ma, come ulteriore prova a sostegno della teoria dell’origine coreana del fungo, le rane coreane sembrano convivere senza problemi anche con diverse varietà. È probabile che sia perché hanno avuto più tempo per adattarsi ad esso.

Lo studio ipotizza anche che nuovi ceppi possano ancora svilupparsi e diffondere ulteriormente la chitridiomicosi. Per questo secondo gli scienziati ci dovrebbero essere maggiori controlli sugli scambi commerciali che riguardano in qualche misura gli anfibi e alcune specie che sono in grado di trasportare il B. dendrobatidis senza esserne danneggiate non dovrebbero essere vendute da un continente all’altro.

Gli scienziati sono riusciti a liberare alcune popolazioni di anfibi dal B. dendrobatidis: è successo ad esempio a Maiorca, in Spagna, dove gli stagni in cui vivono i rospi delle Baleari sono stati svuotati, ripuliti (per uccidere il fungo basta la candeggina) accuratamente e poi riempiti per ospitare di nuovo girini che nel frattempo erano stati trattati con sostanze funghicide in laboratorio. Il problema è che il metodo usato a Maiorca, che è un’isola di meno di quattromila chilometri quadrati, non può essere replicato in molti altri posti: non si può disinfettare una foresta amazzonica con la candeggina.