Da dove vengono gli abiti di film e serie tv

E che fine fanno dopo le riprese? Gli attori si portano a casa le cose che gli piacciono? Agli spettatori resta qualcosa? Un po' di risposte

di Arianna Cavallo – @ariannacavallo

(Sven Hoppe/picture-alliance/dpa/AP Images)
(Sven Hoppe/picture-alliance/dpa/AP Images)

Da qualche anno i film e soprattutto le serie tv sono più importanti delle passerelle nell’influenzare il modo in cui ci vestiamo e nel farci desiderare abiti, borse o tagli di capelli: internet è pieno zeppo di siti che segnalano dove comprare le scarpe indossate da Kim Kardashian, un cappotto indossato da Ryan Gosling nell’ultimo Blade Runner o una salopette di Mickey Dobbs di Love, su Netflix. Il successo di una serie tv o di un film poggia anche sulla capacità di creare un mondo affascinante, e alcuni ci riescono fino a far tornare di moda un’epoca – come gli anni Sessanta con Mad Men – o rendere indimenticabili cose come il tubino Givenchy di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, il tutù rosa di Sex and the City o gli occhiali Prada di Marcello Mastroianni in . Non tutti però diventano celebri da essere finiti nei musei o venduti all’asta: e quelli che restano, che fine fanno? Per prima cosa bisogna capire da dove arrivano.

Come funziona negli Stati Uniti lo ha raccontato Vanessa Nirode sul sito Racked: in linea di massima tutti gli abiti usati durante le riprese appartengono alle case di produzione, e ognuna li gestisce in modo diverso. Alcune hanno dei magazzini dove nel tempo vengono ammassati capi e accessori che vengono poi riutilizzati in altri film o serie tv: per esempio quando terminarono le riprese di Vinyl molti abiti di scena passarono a The Deuce, visto che sono due serie prodotte da HBO e ambientate negli anni Settanta. Alcune case di produzione, come Disney e Warner Bros, possiedono le imprese da cui affittano i costumi; altre invece se li vendono tra loro. Solitamente hanno contratti che prevedono che gli abiti di scena possano essere venduti o regalati solo ai produttori esecutivi; allo stesso tempo gli attori richiedono spesso di poter tenere per sé alcuni abiti dal set.

Di frequente vengono organizzate svendite finali riservate al cast, ai tecnici e a quelli che hanno lavorato al film, mentre i produttori indipendenti, non avendo magazzini alle spalle, tendono a liberarsi di tutto regalando indumenti e accessori a collaboratori e a scuole di recitazione, o dandoli in beneficenza. Più raramente i costumi vengono rivenduti in negozi specializzati come It’s a Wrap o Prop Store, entrambi a Los Angeles, che sono una delle poche opportunità per il pubblico di comprare oggetti e abiti che hanno visto al cinema o in tv.

Nei magazzini della Angels Costume che fornisce costumi a film e serie tv dal 1840, tra cui 37 premiati con l’Oscar per i migliori Costumi, Londra, 14 febbraio 2016 (Dan Kitwood/Getty Images)

Negli ultimi tempi c’è una maggiore attenzione a riusare e donare i costumi, anziché gettarli o dimenticarli in magazzino. L’autrice dell’articolo di Racked, Vanessa Nirode, ha lavorato come sarta in molti film con personaggi uccisi dalle pallottole, ritrovandosi con abiti pieni di buchi; un Natale il supervisore del guardaroba le chiese di riparare quelli dei cappotti per poterli regalare a chi ne aveva bisogno. Aste e donazioni sono più rare in Italia, e quando i costumi non servono più vengono conservati e riutilizzati dalle case di produzione, oppure restituiti alle sartorie dove sono stati affittati o agli sponsor che li hanno prestati, oppure ancora in rari casi – come per i film e i cortometraggi indipendenti – regalati al cast. La provenienza degli abiti di scena è abbastanza varia: dipende dalla casa di produzione, dal budget messo a disposizione per ogni girato e dal costumista che ci lavora.

I costumisti hanno il compito di immaginare lo stile di un personaggio e metterne concretamente insieme il guardaroba, con l’aiuto degli assistenti. «La prima cosa che fai è leggere la sceneggiatura, da lì capisci cosa ti serve: immagini i personaggi e, se il film è moderno, cerchi i look che possano descriverli meglio. Secondo me la costruzione del personaggio è la parte più bella del lavoro: quell’attore diventa quel personaggio nel film anche perché indossa quelle cose precise», dice al Post Santina Cardile, che ha lavorato come costumista di cortometraggi e serie tv, per il teatro e per il cinema.

Una volta che il costumista ha chiaro in testa il personaggio, disegna dei «bozzetti che propone con un mood board all’autore o al regista, fino a raggiungere un’immagine ipotetica, che viene appoggiata sull’immagine effettiva dell’attore. Si parte da qui per comprare o noleggiare tutti gli indumenti che servono per una prima prova costume», spiega Susanna Mastroianni, costumista di Gomorra 3 e Gomorra 4 e assistente della costumista Veronica Fragola per le due stagioni precedenti. «Se l’immagine del personaggio è molto netta e precisa si tratta solo di trovare la taglia giusta e poi scegliere i vestiti in base ai cambi di costume del personaggio. Se è più nebulosa o l’attore ha una fisicità particolare, si faranno più prove per capire cosa dona e cosa no e saranno necessari più capi possibili».

A quel punto bisogna mettere insieme i capi, e le cose cambiano un po’ se il film o la serie sono ambientate ai giorni nostri o sono in costume. In quest’ultimo caso ci si rivolge soprattutto alle sartorie o ai negozi dell’usato, che affittano o rivendono abiti e accessori vintage o costumi d’epoca. Le gonne, gli abiti, le camicette che girano sono più meno sempre le stesse: «la bravura del costumista sta nella combinazione e nell’abbinamento», dice Cardile.

Per le storie moderne invece la provenienza è più varia. «Gli abiti che utilizziamo nei film e nelle serie tv contemporanee provengono da diversi luoghi», racconta Margherita Meddi, che ha lavorato come assistente costumista a Terraferma (2011) e Suburra – la serie, entrambi prodotti da Cattleya e Rai Cinema, e come costumista al cortometraggio Tiger boy diretto da Gabriele Mainetti, della casa di produzione indipendente Goon films. «Abbiamo una serie di contatti con aziende di abbigliamento e accessori italiane e internazionali che hanno piacere di concederci in comodato d’uso parte dei loro campionari o repertori; solitamente questi capi vengono scelti e utilizzati per gli attori protagonisti»: sono gli sponsor, i cui nomi compaiono nei titoli di coda; «Un’altra parte di costumi proviene dalle sartorie che noleggiano abiti contemporanei (La bottega di AliceLa fabbrica del costume, Signorine grandi firme, L’oca giuliva) alle quali al termine delle riprese, dopo un viaggio in lavanderia, rendiamo tutto quanto. Un’altra parte proviene invece dagli acquisti che effettuiamo nei negozi, e questi abiti restano di proprietà della società di produzione».

Anche il capitolo sui posti che affittano i costumi è affascinante: ce ne sono alcuni nati appositamente e a volte fondati da ex sarte o costumiste, come Lariulà a Milano, aperto nel 1996 da Giuseppina Diaferia, per 30 anni sarta sui set televisivi e cinematografici. Il negozio, che da qualche tempo affitta smoking e costumi di carnevale anche a privati, raccoglie in 800 metri quadri un archivio di 20mila pezzi, che chi è del settore può anche consultare online registrandosi. I prezzi variano da pezzo a pezzo: «è un vero supermercato del noleggio», spiega il proprietario Mauro De Crescenzo. Nel settore sono un’istituzione: al cinema i loro costumi compaiono nei film di Aldo Giovanni e Giacomo, in tv in programmi come Le Iene, X Factor, Crozza e Zelig e in «quasi tutte le pubblicità che passano in tv», dice sempre De Crescenzo.

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Altre volte sono i negozi di abiti vintage che finiscono per entrare nel radar delle costumiste: è il caso di Ambroeus, sempre a Milano, aperto nel 2015. Giorgia Dell’Orto, una dei tre proprietari, spiega che «affittiamo al 50 per cento del prezzo di vendita e soltanto a professionisti perché chiediamo la partita IVA», e aggiunge che affittare non conviene: «se affitto un capo a novembre per due mesi e me lo ridanno a fine gennaio perdo la vendita e quando mi ritorna in negozio lo devo scontare»; per questo di solito prestano non oltre una settimana e lavorano soprattutto per la tv, gli spot e il teatro. In alcuni casi i capi sono comprati direttamente dalle costumiste, «clienti amiche», le definisce Dell’Orto, o dalle produzioni con un budget un po’ più grosso. Una curiosità: «quasi tutte le richieste che abbiamo avuto sono state su capi d’inverno; sono anche capi che costano di più e che non conviene comprare».

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Al primo piano di un palazzo ottocentesco in via Torino, nel centro di Milano, Foto Veneta Ottica ha una collezione di occhiali da sole e da vista vintage e di marche contemporanee indipendenti, difficili da trovare altrove, e per questo è frequentato da appassionati e professionisti: «un qualsiasi film o una qualsiasi altra cosa ambientata nel passato, ma anche nel presente, è facile che abbia dei nostri occhiali», dice l’attuale proprietario, il signor Emanuele. L’azienda fu aperta nel 1931 da suo nonno come studio fotografico, e ampliata a ottica negli anni Sessanta dal padre Giorgio. Soltanto una piccola parte del negozio è destinata esclusivamente al noleggio, che è aperto «a tutti, ma principalmente a professionisti» e copre tantissimi settori: «film, pubblicità, serie tv, trasmissioni televisive, teatro, stilisti, moda, imitazioni». In alcuni casi le produzioni finiscono per comprare anziché noleggiare, «soprattutto per i film, dove le settimane di girato sono di più, quindi tempi più lunghi». Un tempo Foto Veneta Ottica si prestava anche come sponsor, «ma adesso non più».

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Gli sponsor coprono una fetta rilevante dei costumi di film e serie tv contemporanei e prestano i capi in cambio di una menzione nei titoli di coda. Susanna Mastroianni spiega che il materiale è in comodato d’uso e viene poi restituito: sono prototipi, abiti usati nelle sfilate e nei servizi fotografici, pezzi unici di una collezione, di solito tutti di taglie molto piccole.

Dopo che i costumi sono stati scelti – noleggiati, acquistati, scovati nei magazzini delle produzioni o offerti dagli sponsor – vengono catalogati e restano a disposizione della produzione fino alla fine delle riprese, a meno che gli accordi con sponsor e sartorie prevedano diversamente. Se si tratta di un film vengono trattenuti fino alla fine del montaggio, fino a quando cioè il film è terminato e si è certi che non sarà necessario girare o rigirare una scena. Per le serie tv li si tiene proprio fino alla fine della serie: in una stagione futura potrebbero infatti servire ancora per girare un flashback o una scena in cui il personaggio li indossa di nuovo. In questa eventualità vengono schedati, inscatolati e conservati in un magazzino della produzione.

Quando non servono più, il futuro dei costumi dipende dalla loro provenienza. Se sono stati noleggiati, vengono restituiti alle sartorie e solitamente anche agli sponsor, che li riutilizzano prestandoli ad altre produzioni, mettendoli a disposizione per i servizi di moda e esponendoli nelle vetrine dei negozi. Quelli acquistati sono di proprietà della casa di produzione e «vengono inscatolati e catalogati con indicato il progetto per eventuali rifacimenti o servizi fotografici per promuovere il film o la serie», spiega Cardile. «Dopo la messa in onda è possibile che siano rimescolati in un magazzino unico» per gli altri costumisti. È un discorso che vale soprattutto per i capi più anonimi, anche se a ogni costumista capita di riconoscere qualcosa che ha usato in un altro film o in un’altra serie tv.

Mastroianni dice che ci sono alcuni capi, come le scarpe o i calzini, che restano alla produzione anche se offerti dagli sponsor, che tendono a regalarli perché sono difficili da rivendere o riutilizzare. Aggiunge anche che i film indipendenti o le case di produzione molto piccole non hanno un magazzino dove custodire i costumi e spesso li vendono dopo il film. In alcuni casi i capi che restano vengono donati: Cardile ricorda per esempio di quando nel 2016 la produzione del film 7 minuti di Michele Placido lasciò tutti gli acquisti a un’associazione di Latina, dove il film era ambientato. Le svendite in saldo per gli attori e le aste di beneficenza sono molto più rare: «non sono a conoscenza di vendite al pubblico», specifica Meddi.

Capita che gli attori si affezionino particolarmente a un capo e lo chiedano in omaggio, per ricordo: raramente le case di produzione e gli sponsor rifiutano. Mastroianni racconta per esempio che Salvatore Esposito ha chiesto – e ottenuto – la giacca indossata dal suo personaggio Genny alla fine della prima stagione di Gomorra, tutta bucherellata dai proiettili. Anche Meddi ha un aneddoto divertente: «C’è un giovane e adorabile attore con cui ho lavorato da poco che vuole portare sempre via un paio di calzini per ricordo», mentre Cardile spiega che molti attori o attrici ottengono in regalo abiti o accessori dagli sponsor con l’accordo di pubblicare una foto su Instagram mentre li indossano, così da ottenere un qualche riscontro.

Una scena di Gomorra, con Genny Savastano che indossa la giacca di pelle

Anche i costumisti si affezionano ai capi con cui lavorano: alcuni costruiscono nel tempo dei piccoli magazzini personali, oppure ottengono dalle case di produzione di usarli in modo esclusivo e tenerli con sé, in una sorta di deposito di fiducia. Molti si divertono a riusarne qualcuno, un po’ perché ci sono affezionati, un po’ come fossero una firma, un po’ per scaramanzia. «Io ho un piccolissimo repertorio personale», dice Meddi. «Ne avevo uno più cospicuo, ma purtroppo l’ho perso in un incendio. Ho usato spesso una valigia-borsone di pelle marrone, ma porto sempre qualche pezzettino dal mio guardaroba, mi fa piacere far vivere cose che magari non uso più». Lo stesso fa Cardile, però solo «quando sono lavori che firmo io: ci sono cose a cui sono affezionata che mi fa piacere riutilizzare, quindi sì. Quando lavoro da assistente faccio le veci del costumista e posso decidere poco, devo tutelare il suo gusto, è più un lavoro gestionale, in cui organizzo le prove e seguo la continuità nel girato». Mastroianni invece dice che «non mi piace ripetermi e riutilizzare le cose».

Capita che anche i costumisti tengano qualcosa per sé per ragioni affettive. Mastroianni per esempio ha ottenuto in regalo una giacca di Giorgio Prato, che produce giacche di pelle e che ha vestito Ciro e Genny in Gomorra 3 e Gomorra 4. Cardile nel suo primo film da stagista chiese «alla costumista un paio di occhiali da sole, non ero pagata: li ho ottenuti». Meddi invece ha «tenuto una giacchetta a vento di un film a cui sono molto affezionata, Terraferma, il più bel progetto a cui abbia partecipato professionalmente e umanamente».

Una scena di Terraferma