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  • Martedì 1 maggio 2018

Il sessismo nel sumo

Alle donne è vietato anche solo salire sul ring – lo renderebbe "impuro" – e partecipare a competizioni non amatoriali: c'entra una tradizione di centinaia di anni

La lottatrice di sumo Anna Fujita durante un allenamento con un suo compagno di squadra al club del sumo dell'Università Nihon di Tokyo, il 25 gennaio 2015 (TOSHIFUMI KITAMURA/AFP/Getty Images)
La lottatrice di sumo Anna Fujita durante un allenamento con un suo compagno di squadra al club del sumo dell'Università Nihon di Tokyo, il 25 gennaio 2015 (TOSHIFUMI KITAMURA/AFP/Getty Images)

Nell’ultimo mese in Giappone si è tornati a parlare del problema del sessismo nel sumo, uno sport molto legato alla religione shintoista che tradizionalmente è praticato solo dagli uomini. La Federazione giapponese di sumo è stata criticata all’inizio di aprile dopo che a Maizuru, vicino a Kyoto, un arbitro aveva vietato a un gruppo di donne di salire sul dohyo – il ring del sumo – per soccorrere il sindaco della città, che si era sentito male mentre teneva un discorso: in base al regolamento del sumo, infatti, la presenza di una donna renderebbe impuro il dohyo.

La Federazione si era poi scusata per il comportamento dell’arbitro dato che c’era «una vita a rischio», ma dopo qualche giorno ha ricevuto nuove critiche per aver proibito a Tomoko Nakagawa, sindaca della città di Takarazuka, di tenere un discorso prima di un incontro di sumo in nome della tradizione. Nakagawa ha commentato il divieto esprimendo frustrazione e dicendo che anche le sindache sono persone.

Il sumo si può considerare uno sport, visto che prevede delle competizioni, ma in Giappone è considerato soprattutto una disciplina e per questa ragione ha delle regole legate alla religione, per esempio relative al concetto di “purezza”. Prima di ogni incontro il dohyo viene purificato in una cerimonia effettuata da sacerdoti shintoisti: al centro del ring, che è ricoperto di terra, viene fatto un buco che poi è riempito con noci, alghe, calamari disseccati e sakè. Gli shintoisti pensano che quando il buco viene richiuso uno spirito finisca imprigionato al suo interno. I lottatori fanno poi alcune mosse rituali per allontanare gli spiriti maligni.

Dopo questa cerimonia il dohyo è considerato un luogo sacro ed è per questo che le donne non possono calpestarlo: nello shintoismo, come in altre religioni, sono considerate impure per il fatto di avere le mestruazioni; il divieto di “contaminare” il dohyo e altri luoghi sacri per lo shintoismo – tra cui l’intera isola Okinoshima – si estende anche alle donne non mestruate. Anche il sangue maschile è considerato impuro, e infatti se durante un incontro di sumo i lottatori sanguinano il dohyo viene cosparso di sale per essere purificato. Nel mondo ci sono donne che praticano il sumo, ma possono partecipare solo a competizioni amatoriali.

Le lottatrici di sumo Sayaka Matsuo, a destra, e Shiori Kanehira si allenano al club del sumo dell’Università Nihon di Tokyo, il 25 gennaio 2015 (TOSHIFUMI KITAMURA/AFP/Getty Images)

Il capo della Federazione giapponese di sumo Oguruma ha commentato la richiesta di Tomoko Nakagawa di parlare prima di un incontro di sumo dicendo che i limiti imposti alle donne nel sumo sono stati in vigore per centinaia di anni e quindi la federazione «non può cambiarli in un’ora». Non è la prima volta che la Federazione viene invitata a cambiare le proprie regole – nel 2000 la governatrice di Osaka Fusae Ota chiese di poter consegnare un trofeo a un lottatore sul dohyo, ma ricevette una risposta negativa e per questo si parlò della questione – e finora non ci sono state modifiche: per questo gli esperti di cultura giapponese pensano che anche in queste circostanze non ci saranno cambiamenti.