• Mondo
  • Lunedì 30 aprile 2018

Nike e le conseguenze di un sistema sessista

La raccolta autonoma di informazioni e prove di molestie, misoginia e altre discriminazioni, organizzata da alcune dipendenti, ha causato le dimissioni di diversi importanti manager

Un dipendente della Nike a Beaverton, Oregon, marzo 2018 (Natalie Behring/Getty Images)
Un dipendente della Nike a Beaverton, Oregon, marzo 2018 (Natalie Behring/Getty Images)

Nella celebre azienda di abbigliamento sportivo Nike, un’iniziativa di raccolta autonoma di informazioni e prove di casi di molestie, misoginia e altre discriminazioni organizzata da alcune dipendenti ha causato le dimissioni di diversi dirigenti di alto livello.

La sede di Nike si trova a Beaverton, nell’area metropolitana di Portland, in Oregon. Il New York Times scrive che da tempo in quella sede erano stati segnalati diversi episodi: uscite del personale che iniziavano nei ristoranti e si concludevano negli strip club, un supervisore che si vantava dei preservativi che portava nello zaino al lavoro, un responsabile che aveva cercato di baciare forzatamente una donna. E poi carriere femminili bloccate, donne costrette a sentirsi emarginate durante le riunioni, escluse dalle promozioni e dalle divisioni più importanti dell’azienda. Alcune di loro hanno raccontato che dopo aver riferito alcuni episodi al reparto risorse umane non c’erano state delle conseguenze: il cattivo comportamento non era stato quasi mai punito o penalizzato. E quindi un gruppo di donne che lavora a Beaverton ha avviato una piccola autonoma risposta.

Di nascosto, un gruppo di dirigenti donne ha inviato dei questionari anonimi alle colleghe, chiedendo se fossero state vittime di molestie sessuali e discriminazione di genere. Lo scorso 5 marzo i questionari completati sono arrivati sulla scrivania di Mark Parker, amministratore delegato di Nike. Nelle settimane successive almeno sei dirigenti uomini di alto livello se ne sono andati o hanno dichiarato che l’avrebbero fatto a breve. Tra gli altri si sono dimessi anche Trevor Edwards, brand president di Nike, una sorta di numero due dell’azienda, considerato tra i possibili successori dell’amministratore delegato, e Jayme Martin, importante manager di alcune divisioni globali di Nike.

Mentre il recente movimento #MeToo, e cioè la presa di parola pubblica delle donne contro le molestie, ha avuto delle conseguenze su singoli casi o determinate persone, il caso di Nike è una novità e dimostra come la pressione interna e organizzata delle donne possa costringere anche le grandi aziende a risolvere rapidamente i problemi di molestie e sessismo sul posto di lavoro. Dopo la presentazione dell’inchiesta interna, Nike ha avviato una revisione delle risorse umane e dei metodi per denunciare i problemi nell’azienda, rendendo obbligatoria la formazione dei dirigenti e rivedendo molte delle sue procedure interne di segnalazione.

Qualche settimana fa le motivazioni delle dimissioni di alcuni suoi importanti dirigenti non erano state chiarite in modo esplicito dalla dirigenza di Nike, ma il New York Times ha raccolto diverse informazioni da decine di attuali dipendenti o ex dipendenti che dimostrano un chiaro collegamento con episodi di molestie e ostacoli di carriera. Il New York Times ha anche esaminato le copie di tre reclami arrivati alle risorse umane: «Mi sono resa conto che io, come donna, non sarei mai cresciuta in quell’azienda», ha raccontato per esempio Francesca Krane, che ha lavorato per cinque anni e fino al 2016 in Nike. Ha detto che era stanca di vedere gli uomini ottenere promozioni al posto di donne ugualmente o meglio qualificate. Molte delle persone intervistate hanno descritto poi un ambiente di lavoro umiliante per le donne.

Tre persone, per esempio, hanno affermato di aver sentito i loro superiori maschi riferirsi alle sottoposte con appellativi sessisti, un’altra dipendente ha detto che il suo capo le aveva lanciato le chiavi della macchina e l’aveva definita una “stupida puttana”. Ha anche detto di aver riportato l’episodio alle risorse umane e che l’uomo era rimasto il suo supervisore. La maggior parte delle persone che hanno parlato con il New York Times ha insistito per rimanere anonima, citando accordi di non divulgazione o la paura di restare compromesse nell’azienda. Alcune di loro hanno coniugi o familiari che lavorano ancora lì.

Nike ha da parte sua descritto la questione come circoscritta a un gruppo di manager di alto livello che si proteggevano l’uno con l’altro: «Non è una cosa che tollereremo», ha detto un portavoce dell’azienda. In una dichiarazione, l’amministratore delegato Mark Parker ha affermato che la stragrande maggioranza degli impiegati di Nike lavora duramente per ispirare e servire gli atleti di tutto il mondo. «Mi ha addolorato sapere che ci sono sacche della nostra azienda in cui comportamenti incoerenti con i nostri valori hanno impedito ad alcuni dipendenti di sentirsi rispettati». Per Amanda Shebiel, che ha lasciato Nike a settembre dopo circa cinque anni, la promessa di affrontare i problemi sistemici dell’azienda è una buona cosa ma tardiva: «Perché è stato necessario un sondaggio anonimo per arrivare a dei cambiamenti?».

Nike ha un fatturato annuo di circa 36 miliardi di dollari e per decenni non ha praticamente avuto concorrenti. Da tempo sta affrontando qualche difficoltà perché Adidas ha guadagnato un ampio spazio in mercati chiave come quello dell’abbigliamento e delle scarpe. Nike sta inoltre lottando per mantenere il controllo nel settore degli articoli femminili che è in crescita e in larga espansione. Alcune delle persone intervistate dal New York Times hanno affermato che le difficoltà nel settore femminile riflette in parte la mancanza di leadership femminile dell’azienda e un ambiente che favorisce le carriere degli uomini. Le donne occupano quasi la metà della forza lavoro, ma solo il 38 per cento delle posizioni di direzione o supervisione.

Mentre i dirigenti di Nike hanno affermato che la categoria delle donne era una parte cruciale della loro strategia di crescita, le ex dipendenti hanno dichiarato che non sono stati fatti sufficienti investimenti in quel settore o per le campagne di marketing. Lo scorso anno, per esempio, Edwards ha approvato una campagna per il lancio autunnale di una scarpa femminile, coinvolgendo la cantautrice britannica FKA Twigs. Il risultato, secondo una persona che ha visto la pubblicità, è stato piuttosto ambiguo: non mostrava le scarpe, ma una donna che volteggiava su quello che sembrava essere un palo da spogliarellista. La campagna è stata poi rifiutata, ma è costata a Nike alcuni milioni di dollari.

Molte donne, tra cui alcune dirigenti, hanno raccontato di rimproveri e umiliazioni ricevute dai loro colleghi, di aver riferito i vari episodi alle risorse umane e di come non sia stato poi preso alcun provvedimento: molte dipendenti hanno dunque taciuto, negli anni, ed evitato di rivolgersi a quel dipartimento temendo ritorsioni, nel peggiore dei casi, o che non sarebbe successo nulla, nel migliore. Coloro che hanno cercato aiuto alle risorse umane hanno detto che è stata un’esperienza molto frustrante. Il New York Times riporta diversi episodi di comportamenti molesti o sessisti: per la strada verso una cena di lavoro a Los Angeles, due dirigenti hanno discusso di quale città tra Los Angeles o Portland avesse i migliori strip club, mentre le donne presenti in auto guardavano fuori dal finestrino; una dipendente ha detto che un supervisore si è intrufolato in bagno e ha cercato di baciarla. A un manager che menzionava il seno di una donna in un’email è stato fatto solo un avvertimento verbale; a un’altra che ha riferito del proprio superiore che si vantava dei preservativi che portava sempre con sé e delle riviste con donne svestite che teneva sulla scrivania è stato detto che avrebbe dovuto affrontare direttamente il discorso. Una donna che aveva denunciato commenti sessisti era stata licenziata.

Il New York Times conclude riportando la testimonianza di alcune dipendenti o ex dipendenti che ipotizzano come l’attuale amministratore delegato non potesse non essere a conoscenza di quanto stava accadendo in azienda. Fino allo scorso anno le risorse umane erano gestite da David Ayre, assunto nel 2007. Ayre faceva direttamente riferimento a Parker e con Parker si incontrava regolarmente per parlare delle indagini in corso.