Le accuse della procura di Catania contro sette medici per la morte di una donna incinta, avvenuta nel 2016

L'ospedale Cannizzaro di Catania (Ansa)
L'ospedale Cannizzaro di Catania (Ansa)

Sono finite le indagini sulla morte di Valentina Milluzzo, la donna siciliana di 32 anni che il 16 ottobre 2016 morì per un’infezione dopo aver abortito i due gemelli di cui era incinta di cinque mesi all’ospedale Cannizzaro di Catania: nel registro degli indagati ci sono il primario di ginecologia Paolo Scollo, i dirigenti dell’ospedale Silvia Campione, Giuseppe Calvo, Alessandra Coffaro, Andrea Benedetto Di Stefano e Vincenzo Filippello e il medico anestesista Francesco Cavallaro. L’accusa è di concorso in omicidio colposo.

All’epoca della morte di Milluzzo si era molto parlato di questo caso: la donna era stata ricoverata il 29 settembre 2016, incinta di due gemelli ottenuti grazie a una terapia di procreazione assistita, per una complicanza legata alla gravidanza; i feti erano morti il 15 ottobre e il giorno successivo la donna, per un’infezione. Il marito di Milluzzo, Francesco Castro, aveva poi presentato una denuncia alla procura di Catania perché pensava che fosse stato commesso un errore da parte del personale sanitario del Cannizzaro. Secondo lui e gli altri parenti di Milluzzo, un medico obiettore di coscienza si sarebbe rifiutato di intervenire per salvaguardare la salute della donna anche quando già era chiaro che i feti sarebbero probabilmente morti in un aborto spontaneo.

Secondo i sostituti procuratori Fabio Saponara e Martina Bonfiglio nel caso di Milluzzo i medici sarebbero responsabili di varie omissioni: una «mancata instaurazione di antibioticoterapia», un «mancato riconoscimento della sepsi e la mancata raccolta di campioni per gli esami microbiologici per tentare di diminuire l’infezione», una «mancata rimozione di feti e placenta» e una «mancata somministrazione di globuli rossi». Queste omissioni non hanno nulla a che vedere con la questione dell’obiezione di coscienza di cui si era parlato nei giorni successivi alla morte di Milluzzo. Anche gli ispettori del ministero della Salute che avevano indagato sul caso avevano detto che l’obiezione di coscienza (tutti i medici del reparto del Canizzaro erano obiettori) non c’entrava con la morte di Milluzzo: «Dalla documentazione esaminata e dalle numerose testimonianze raccolte dal personale non si evidenziano elementi correlabili all’argomento obiezione di coscienza».