Un’aurora chiamata Steve

Che probabilmente non è un'aurora, ma un nuovo fenomeno ottico: è stata scoperta da un gruppo di appassionati e c'entrano un pub e una rivista scientifica

Le osservazioni di un gruppo di appassionati in Canada hanno permesso di scoprire un nuovo tipo di aurora, descritto in una ricerca scientifica da poco pubblicata su Science Advances. A differenza delle classiche aurore, questo fenomeno può essere osservato in punti più vicini all’equatore e si verifica a un’altitudine maggiore. Il suo studio sta consentendo ai ricercatori di scoprire nuove cose non solo sulle tipologie di aurore, ma anche sulle interazioni dei gas nei vari strati dell’atmosfera. La nuova aurora è stata scoperta grazie alle fotografie di appassionati, ad alcuni forum online e a un incontro piuttosto informale in un pub, davanti a una birra. Anche il nome scelto per il fenomeno è alquanto amichevole: Steve.

Aurore
Oltre ad attirare migliaia di fotografi professionisti e amatoriali, le autore boreali e australi (le prime si verificano nel nostro emisfero) sono studiate da anni dai ricercatori per comprenderne origini e caratteristiche. Si presentano come ampie strisce colorate nel cielo, visibili soprattutto di notte, e sono principalmente osservabili in prossimità dei poli. Le aurore sono causate dall’interazione delle particelle cariche provenienti dal Sole (protoni ed elettroni trasportati dal vento solare) con gli strati dell’atmosfera compresi tra 100 e 500 chilometri di altitudine (ionosfera). Le particelle cariche eccitano gli atomi dei gas presenti nell’atmosfera, che emettono luci a varie lunghezze d’onda, alcune nello spettro del visibile (quindi evidenti ai nostri occhi) con colori che variano dal rosa al verde. È il campo magnetico terrestre a fare sì che il fenomeno sia visibile ai poli magnetici del nostro pianeta, che in un certo senso si comporta come un’enorme calamita.

Sotto l’aurora polare, Utakleiv, Isole Lofoten, Norvegia, 9 marzo 2018 (OLIVIER a/AFP/Getty Images)

Oltre a queste classiche aurore, i ricercatori negli anni hanno scoperto altri fenomeni simili che si sviluppano direttamente nell’atmosfera, senza che siano coinvolte le particelle cariche provenienti dal Sole. Vengono chiamate aurore perché hanno caratteristiche simili a quelle vere e proprie, ma gli scienziati le definiscono in altro modo con termini più tecnici e descrittivi. Trovarne di nuove è comunque molto raro, se si considera che le ultime scoperte risalgono ormai a più di 20 anni fa.

La scoperta di Steve
La storia dell’aurora Steve è iniziata nei pressi di Calgary, città canadese dell’Alberta, in una notte di quattro anni fa, quando Chris Ratzlaff partì alla ricerca di qualche aurora da fotografare. Dopo averne avvistate alcune, notò in un altro punto del cielo una strana formazione. Inizialmente pensava si trattasse di una scia lasciata da un aeroplano di passaggio, ma fotografandola con un tempo di esposizione più lungo si rese conto che emetteva luce, cosa che non fanno le scie degli aerei. Tornato a casa, condivise le sue foto nel gruppo Facebook di appassionati che amministrava da qualche tempo. Altri utenti segnalarono di avere visto qualcosa di analogo in passato, già nel 2010, e gli dissero che probabilmente quello osservato era un “arco di protoni”, un fenomeno che però non dovrebbe essere visibile a occhio nudo.

Negli anni seguenti, le osservazioni di Ratzlaff e degli altri appassionati si sono intrecciate con il lavoro di Elizabeth MacDonald, una fisica della NASA che nel 2014 ha avviato il progetto “Aurorasaurus” per tenere traccia delle aurore, soprattutto delle segnalazioni e dei materiali come video e fotografie condivise online dagli utenti. Dopo essere entrata in contatto con diversi forum e gruppi, nel 2016 MacDonald tenne una conferenza sul tema presso l’Università di Calgary. Chiacchierando con un ricercatore dell’Università in un pub dopo l’evento insieme a un gruppo di appassionati, MacDonald vide per la prima volta le foto di quello che era stato definito un “arco di protoni”. Chiarito che non potesse esserlo, MacDonald e gli altri si ripromisero di studiare meglio la cosa.

Non potendolo chiamare “arco di protoni” e non volendolo definire un’aurora perché le sue proprietà fisiche ancora non erano note, rimaneva il problema di che nome usare. Scherzando, qualcuno propose di chiamarlo semplicemente Steve, come nel cartone animato La gang del bosco dove alcuni animali decidono di chiamare Steve una gigantesca siepe per esorcizzare i loro timori. L’idea si rivelò molto utile, soprattutto per confrontarsi sui forum online, dove tutti potevano riferirsi a quella cosa chiamandola Steve e con la certezza che tutti gli altri capissero. “Ho visto Steve”, per esempio, voleva dire che qualcuno era riuscito a osservare il fenomeno. La nascita del nome e le prime osservazioni erano state anche raccontate in un articolo del New York Times un anno fa.

Cos’è Steve?
Le numerose osservazioni di Steve negli anni seguenti hanno permesso ai ricercatori di raccogliere dati importanti, confrontandoli con quelli raccolti dallo Spazio dal satellite europeo SWARM: girando intorno alla Terra, rileva le emissioni della magnetosfera, che come abbiamo visto ha un ruolo importante nella formazione delle aurore.

Da tempo chi studia questi fenomeni sa che le particelle cariche negli alti strati dell’atmosfera possono causare forti correnti, più calde di ciò che hanno intorno e che si muovono attraverso l’aria rarefatta. Si formano durante le attività che portano alle aurore, ma c’era la convinzione che fossero invisibili alla nostra vista. SWARM ha permesso di scoprire che Steve è associato proprio a quei flussi di particelle cariche. Molte cose non sono però chiare: i ricercatori non hanno trovato spiegazioni convincenti sul fatto che Steve produca luci verdi perpendicolari a quelle delle scie luminose viola, né perché sia così ricorrente questo colore, visto che le aurore sono di solito verdi o rosa chiaro.

Steve osservato il 25 luglio 2016

Non è nemmeno chiara quale sia l’origine del campo elettromagnetico che porta alla formazione di Steve. Il fenomeno ha origine a circa 200 chilometri di altitudine, circa il doppio rispetto al punto in cui si verificano le classiche aurore. Inoltre, Steve è visibile anche a latitudini più basse, cioè a una maggiore distanza dai poli. Ci sono inoltre numerose differenze fisiche, a cominciare dal fatto che Steve è causato da particelle cariche già presenti nell’atmosfera. Per questo motivo molti ricercatori ritengono che non sia corretto parlare di aurora, ma di un nuovo fenomeno ottico.

18 gran foto delle aurore boreali