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  • Mercoledì 14 marzo 2018

La terribile storia di Maira Figueroa, liberata ieri a El Salvador

Aveva avuto un aborto spontaneo e nel 2003 era stata condannata per questo a trent'anni di carcere, come spesso accade alle donne nella sua situazione

Maira Figueroa abbracciata a una familiare all'uscita dal carcere, Ilopango, El Salvador, 13 marzo 2018
(MARVIN RECINOS/AFP/Getty Images)
Maira Figueroa abbracciata a una familiare all'uscita dal carcere, Ilopango, El Salvador, 13 marzo 2018 (MARVIN RECINOS/AFP/Getty Images)

Maira Verónica Figueroa Marroquín è una donna di El Salvador: ha 34 anni e gli ultimi 15 li ha trascorsi in una prigione femminile. Nel 2003 era stata condannata a trent’anni di carcere per omicidio aggravato perché aveva avuto un aborto spontaneo. Martedì 13 marzo è stata rilasciata dopo una commutazione della pena.

El Salvador è uno dei paesi con le leggi più restrittive al mondo in tema di diritti delle donne, e dove l’interruzione di gravidanza è illegale e completamente vietata in qualsiasi caso: la legge obbliga tutte le donne, anche se minorenni, anche se stuprate, anche se in gravi condizioni di salute, a portare a termine la gravidanza a qualsiasi costo. Il codice penale prevede la condanna da due a otto anni di reclusione per le donne che abortiscono, ma in realtà i giudici considerano spesso l’interruzione di gravidanza come un omicidio aggravato punito dunque con pene che vanno dai 30 ai 50 anni di prigione: anche nei casi di aborto spontaneo.

Quando è stata condannata, nel 2003, Maira Figueroa aveva 19 anni ed era rimasta incinta dopo essere stata violentata. Faceva la governante e dopo alcuni mesi di gravidanza aveva avuto un’emorragia sul posto di lavoro: era stata trasferita in ospedale e il feto era morto. Lei era stata immediatamente arrestata e accusata di aver causato l’aborto. Diverse organizzazioni anche fuori da El Salvador, che negli ultimi anni hanno sostenuto la sua causa, hanno spiegato che la donna non aveva nemmeno avuto un giusto processo: non le era stato assegnato un avvocato difensore fino al giorno della prima udienza e in aula non era stato presentato il rapporto di un medico legale.

Martedì 13 marzo Figueroa è stata rilasciata dopo una revisione della sentenza decisa dalla Corte Suprema di Giustizia (CSJ), che è intervenuta grazie al ricorso presentato da un’organizzazione che nel paese lotta per la legalizzazione dell’aborto. La corte che ha commutato la pena ha detto che considerava la sentenza del 2003 «eccessiva e immorale». Al momento del rilascio Figueroa ha detto: «Sono molto felice di rivedere la mia famiglia. Spero che alle altre venga offerta l’opportunità che hanno dato a me». Figueroa si riferiva alle altre 26 donne che attualmente si trovano in un carcere del paese per aver avuto un aborto spontaneo.

Maira Figueroa all’uscita dal carcere, Ilopango, El Salvador, 13 marzo 2018. (MARVIN RECINOS/AFP/Getty Images)

Quando Figueroa è uscita di prigione ad attenderla c’era anche Teodora del Carmen Vásquez, una donna con una storia molto simile alla sua e che è stata rilasciata lo scorso 15 febbraio. Vásquez aveva trascorso circa 11 anni in carcere per aver avuto un aborto spontaneo. Il 14 luglio del 2007, quando era incinta di quasi nove mesi, chiamò il pronto soccorso dal bagno della scuola dove lavorava come impiegata. Non le aveva risposto nessuno e lei, nel frattempo, aveva avuto una grave emorragia: il bambino era nato morto. Un suo collega l’aveva trovata, aveva avvertito la polizia e lei, ancora priva di sensi, era stata arrestata. Vásquez aveva già un figlio che all’epoca aveva quattro anni. Nel 2008 venne condannata a 30 anni di prigione. Quando è stata rilasciata suo figlio aveva 14 anni.

Teodora Vásquez abbraccia la madre dopo il rilascio, Ilopango, El Salvador, 15 febbraio 2018. (MARVIN RECINOS/AFP/Getty Images)

A El Salvador, ha spiegato Vásquez, «le donne povere vengono abbandonate dal sistema sanitario pubblico, che invece di aiutarle le denuncia in caso di complicazioni durante la gravidanza. Una donna che ha i soldi e che vuole abortire cerca una clinica (privata, ndr) e lo fa senza problemi. Ma una donna povera che fa la stessa cosa (in un ospedale, ndr) finisce in carcere». Vásquez, che nel frattempo è diventata molto attiva nella lotta per i diritti delle donne, pretende una maggiore «uguaglianza: siamo tutte donne e non siamo diverse». E ancora: «Abbiamo bisogno di cambiare la legge perché quello che è successo a me non accada mai più. Non voglio che altre donne siano imprigionate, non se lo meritano».

Eppure le storie come quella di Figueroa e Vásquez sono molto frequenti. Nel luglio del 2017 Evelyn Beatriz Hernández Cruz, una ragazza di 19 anni che aveva subito uno stupro di gruppo, che era rimasta incinta e che aveva avuto un aborto spontaneo, era stata condannata a 30 anni di carcere per omicidio aggravato. La condanna è stata confermata lo scorso dicembre.

L’aborto a El Salvador è stato vietato totalmente e indipendentemente dalle circostanze nel 1998, in seguito alle forti pressioni della Chiesa cattolica e dell’estrema destra che ha governato il paese per lunghissimi periodi di tempo. Nel 1999 la costituzione del paese è stata poi modificata per riconoscere il diritto alla vita dal momento del concepimento.

Secondo l’Agrupación Ciudadana de la Despenalización del Aborto (un’associazione di El Salvador per la depenalizzazione dell’aborto), tra il 2000 e il 2011 nel paese sono state processate 129 donne per crimini legati a un’interruzione di gravidanza e 49 di loro sono state condannate (26 per omicidio). Secondo l’organizzazione «ogni donna che si presenta in un pronto soccorso per delle complicazioni legate a una gravidanza viene considerata una criminale» e in molti casi sono gli stessi operatori sanitari a presentare una denuncia alla polizia. Le conseguenze della criminalizzazione dell’aborto non hanno a che fare solo con la prigione: i dati del ministero della Salute di El Salvador, riferiti agli anni che vanno dal 2011 al 2015, parlano di un centinaio di morti legate alle complicazioni di una gravidanza che non si vuole interrompere e di quasi 20 mila aborti clandestini praticati tra il 2005 e il 2008 con metodi molto rudimentali e pericolosi. Il divieto di aborto si estende anche ai casi di bambine che sono state vittime di abusi sessuali. I dati del 2015 dicono che le gravidanze di bambine tra 10 e 14 anni sono stati 1.445.

Nell’ottobre del 2016 il partito di centrosinistra al governo, il Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN), aveva presentato una proposta di legge per consentire l’aborto solo in alcuni casi: grave malformazione del feto, gravidanza causata da uno stupro e in caso di pericolo di vita per la donna. L’opposizione di destra aveva a sua volta proposto di portare ufficialmente le pene per l’interruzione di gravidanza a cinquant’anni. Le elezioni legislative e municipali che si sono svolte lo scorso 4 marzo sono state vinte però dall’estrema destra: il nuovo governo si insedierà a maggio e la deputata dell’FMLN Lorena Peña ha detto che è necessario fare pressione per approvare la parziale depenalizzazione dell’aborto entro quella data. Secondo gli osservatori sarà comunque improbabile che nelle prossime settimane e nella prossima legislatura ci possa essere una svolta per i diritti delle donne.