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  • Lunedì 25 dicembre 2017

Storie da uno dei posti più sorvegliati al mondo

Nello Xinjiang, in Cina, la polizia controlla tutto e tutti, tra sistemi di riconoscimento facciale e app che monitorano i cellulari

Khasgar, Xinjiang (AP Photo/Ng Han Guan)
Khasgar, Xinjiang (AP Photo/Ng Han Guan)

Lo Xinjiang è una regione autonoma del nord-ovest della Cina abitata soprattutto dagli uiguri, minoranza etnica musulmana accusata dal governo cinese di separatismo e terrorismo. Negli ultimi due mesi due importanti giornali americani hanno definito lo Xinjiang «uno dei posti più sorvegliati al mondo» (Wall Street Journal) e «una finestra sul possibile futuro dispotico creato dalla sorveglianza tecnologica» (BuzzFeed News).

Agli abitanti dello Xinjiang capita di doversi sottoporre a controlli di polizia più volte al giorno, oltre che a procedimenti di riconoscimento facciale prima di accedere ai distributori di benzina, agli hotel e alle banche. Le autorità hanno il potere di registrare in maniera arbitraria tutte le telefonate provenienti dall’estero e di obbligare privati cittadini a installare sul telefono un’app capace di controllare tutti i messaggi in entrata e in uscita.

Lo Xinjiang, che significa “Nuova Frontiera”, è stato portato sotto il completo controllo della Cina nel 1949: confina con otto stati (India, Pakistan, Russia, Mongolia, Kazakistan, Afghanistan, Tagikistan e Kirghizistan) ed è un passaggio obbligato per gli scambi commerciali con l’Asia Centrale e l’Europa. È un territorio molto ricco di gas e petrolio e dove sono frequenti da molti anni proteste contro il regime di Pechino e scontri etnici: gli uiguri non accettano la presenza dei cinesi han nella regione e denunciano da tempo le repressioni e le discriminazioni compiute dal governo. Da parte sua, il governo cinese sostiene che nello Xinjiang sia forte l’estremismo islamista: una recente inchiesta di Associated Press ha evidenziato per esempio come finora siano stati almeno 5mila gli uiguri a lasciare lo Xinjiang per andare a combattere in Siria.

Negli ultimi anni le autorità cinesi hanno rafforzato i sistemi di sorveglianza in tutto il paese, così come voluto dal potentissimo presidente cinese Xi Jinping. Nello Xinjiang, comunque, la censura e il controllo hanno raggiunto livelli unici, in particolare dopo la nomina di Chen Quanguo a nuovo capo del Partito comunista locale, nell’agosto 2016. Tra le prime decisioni di Chen c’è stata l’apertura di migliaia di nuove stazioni di polizia e l’aumento del numero dei cosiddetti “centri di educazione”, ovvero centri di detenzione usati per rinchiudere migliaia di persone senza alcuna incriminazione formale, ma sospettate di essere potenzialmente un pericolo per la sicurezza regionale.

Nello Xinjiang sfuggire ai controlli della polizia è diventato praticamente impossibile. Lungo le principali strade delle città della regione, ma anche negli angoli delle vie più piccole e di fronte alle moschee, sono state installate migliaia di telecamere. La sorveglianza è particolarmente stretta a Urumqui, la capitale dello Xinjiang, dove la polizia locale ha ordinato ai ristoranti di diverse zone di installare nuovi dispositivi di sorveglianza all’ingresso per «prevenire attacchi terroristici». Molti giovani uiguri hanno cominciato a tenere due cellulari, uno da usare liberamente a casa e l’altro da portarsi in giro svuotato da contenuti più sensibili, per evitare guai con la polizia.

Un tweet ripreso da BuzzFeed mostra due poliziotti mentre controllano l’app che monitora i contenuti degli smartphone.

Le autorità esercitano un severissimo controllo anche sulla vendita di coltelli, il tipo di arma usata negli ultimi attentati compiuti da uiguri in Cina: prima della vendita, sul coltello viene inciso con il laser un “QR code”, cioè un codice identificativo che include informazioni personali dell’acquirente, come il numero del suo documento d’identità.

La sorveglianza è ancora più stretta a Kashgar, città di più di 300mila abitanti vicino al confine con il Kirghizistan. Qui, ha raccontato il Wall Street Journal, tutte le auto che entrano in città vengono controllate, così come vengono sottoposte a riconoscimento facciale le persone che le guidano. A Kashgar il governo cinese ha anche avviato un progetto pilota per introdurre un sistema di riconoscimento dell’iride, più accurato dei sistemi di scansione del viso e dell’impronta digitale.

Josh Chin e Clément Bürge, giornalisti del Wall Street Journal, hanno scritto: «È quasi impossibile muoversi nella regione senza sentire su di sé l’incessante sguardo del governo». Omer Kanat, direttore del Uyghur Human Rights Project, organizzazione che promuove il rispetto dei diritti umani degli uiguri, ha detto alla giornalista Megha Rajagopalan di BuzzFeed: «È una prigione a cielo aperto. La Rivoluzione culturale è tornata e il governo non prova nemmeno a nasconderla. Viene fatto tutto alla luce del sole».