Facebook ha ammesso che a volte ci fa sentire peggio

Citando le ricerche secondo cui l'umore degli utenti che leggono il social network, ma non interagiscono, tende a peggiorare

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

Per la prima volta Facebook ha ammesso che – in alcune circostanze – le persone si sentono peggio dopo avere usato il suo social network. L’ammissione è notevole considerato che arriva direttamente da Facebook ed è stata pubblicata sul suo blog, ma è comunque una valutazione molto cauta e basata sulle ricerche scientifiche pubblicate finora sul tema, spesso con risultati e conclusioni vaghi e che richiedono ancora approfondimenti.

Il post spiega che spesso le persone che fanno un uso passivo di Facebook, cioè lo leggono senza commentare o mettere “Mi piace”, tendono a sentirsi peggio quando hanno finito di farlo. Al contrario, le persone che comunicano di più e interagiscono maggiormente sul social network si sentono meglio durante la giornata. È un’ammissione importante ma al tempo stesso suona come un invito agli utenti a essere più attivi su Facebook, cosa che naturalmente avvantaggia l’azienda.

Negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi studi sull’influenza dei social network nelle nostre società, sulla loro capacità di offrire una versione più o meno distorta del mondo che abbiamo intorno e di cambiare la nostra percezione sulla realtà, condizionando in alcuni casi i nostri stessi orientamenti. I risultati di queste ricerche, come avviene spesso nelle scienze sociali, non sono netti e definitivi, ma offrono comunque qualche elemento in più per capire il ruolo dei social network nella nostra vita.

Un esperimento, citato anche da Facebook, è stato eseguito presso l’Università del Michigan (Stati Uniti). A un gruppo di partecipanti, scelti a caso, è stato chiesto di leggere i post su Facebook per dieci minuti, mentre a un secondo gruppo è stato chiesto non solo di leggerli, ma anche di interagire mettendo “Mi piace” e commentando i post. Alla fine del test, la maggior parte dei componenti del primo gruppo aveva un umore peggiore rispetto agli altri, che invece erano soddisfatti delle loro interazioni sociali online.

Un altro studio è stato condotto presso l’Università della California, San Diego e l’Università di Yale. Dalla loro ricerca è emerso che le persone che cliccano sui link il quadruplo rispetto all’utente medio, o che mettono il doppio dei “Mi piace”, tendono a definire migliori le loro condizioni mentali nel questionario, rispetto a chi interagisce poco o per nulla su Facebook. Ricerche simili, con diversi campioni e questionari diversi, hanno portato a risultati analoghi.

Le cause di queste differenze non sono completamente chiare. Alcune ricerche ipotizzano che vedere le fotografie dei posti dove vanno i propri amici, delle cose che fanno e dei loro interessi produca una “comparazione sociale negativa”, dove si percepiscono gli altri come migliori e con una vita più piena e divertente della propria. La stessa dinamica avviene naturalmente anche offline, ma su Facebook è molto più marcata perché ognuno cerca di dare la migliore rappresentazione possibile di se stesso e delle cose che fa. Altri hanno teorizzato che la vita online tenda a ridurre la ricerca di interazioni sociali offline, con la conseguenza che chi interagisce poco su Internet si ritrova poi con meno opportunità di interazione anche nella vita lontano da uno smartphone o un computer.

E qui è però importante ricordare che correlazione e causalità sono due cose diverse, soprattutto nella ricerca scientifica. La prima si riferisce a una relazione tra variabili che cambiano insieme, in modo positivo o negativo, mentre la seconda fa riferimento a una relazione tra variabili, dove una causa l’altra. Non possiamo escludere, e non lo fa nemmeno la maggior parte dei ricercatori, che le persone per loro natura più allegre, soddisfatte della loro vita e ottimiste interagiscano di più su Facebook, proprio per come sono fatte, rispetto a quelle più pessimiste o depresse. Questo spiegherebbe da un’altra prospettiva il fatto di sentirsi peggio dopo avere usato Facebook senza interagire: molti potrebbero sentirsi così già prima di iniziare e proprio in virtù di questa condizione non se la sentono di interagire con altre persone, finendo per peggiorare la loro situazione.

Per quanto onesto e ammirevole (considerato che mette in dubbio gli effetti positivi delle interazioni sui social network) il post di Facebook insiste probabilmente più del necessario sul lato positivo delle ricerche svolte finora. C’è una certa insistenza sul fatto che “interagire attivamente con le persone, specialmente condividendo messaggi, post e commenti con amici stretti e ricordarsi delle vecchie interazioni” aiuti a sentirsi meglio. Per rafforzare questo aspetto positivo, il post cita uno studio realizzato da Facebook in collaborazione con la Carnegie Mellon University, nel quale si dice che le persone che inviano o ricevono più messaggi e commenti dicono di sentire un migliore sostegno sociale, contro depressione e solitudine.

Sulla base di queste valutazioni, il post si conclude sostenendo che la soluzione al problema non sia smettere di usare Facebook, ma usarlo di più e meglio. La conclusione scarica quindi sugli utenti la responsabilità finale, anche se non è chiaro perché dovrebbero essere loro a cambiare il modo in cui utilizzano uno strumento come un social network. Questo approccio è mantenuto da tempo da Facebook e negli ultimi anni gli è costato numerose critiche, a cominciare da quelle sulla facile diffusione delle “fake news”, che in parte è dovuta proprio a come è concepito il social network e a quali comportamenti implicitamente incentiva da parte degli utenti.

Le critiche a Facebook nelle ultime settimane si sono estese in seguito alle dichiarazioni molto severe, e in parte poi ritrattate, di Chamath Palihapitiya, ex dirigente del social network nei suoi primi anni di attività. Nel corso di un’intervista, ha detto di essersi pentito di avere contribuito al successo di Facebook: “Penso che abbiamo creato strumenti che stanno facendo a pezzi il tessuto che tiene insieme le nostre società”. Un portavoce di Facebook ha risposto ricordando che Palihapitiya non lavora nell’azienda da più di sei anni e che da allora molte cose sono cambiate: “Ora che siamo cresciuti ci siamo resi conto che anche le nostro responsabilità sono aumentate”.