• Moda
  • Giovedì 21 settembre 2017

Gucci farà per sempre Gucci

Foto dalla sfilata di Milano del direttore creativo Alessandro Michele, col suo stile sempre uguale che continua a funzionare

Una modella sfila per la collezione primavera/estate 2018 di Gucci, Milano, 20 settembre 2017 
(MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images)
Una modella sfila per la collezione primavera/estate 2018 di Gucci, Milano, 20 settembre 2017 (MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images)

È iniziata ieri la Settimana della moda di Milano, in cui le più importanti aziende italiane presentano le collezioni per la primavera/estate 2018. La settimana della moda è stata aperta dalla sfilata di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci: è lo stilista del momento non solo in Italia, ma in tutto il mondo, quello che fa parlare più di sé, che ingombra i social network con le foto e video dei suoi vestiti e accessori stravaganti, quello più atteso e che farà più tendenza, circondato da una corte ormai abituale di celebrità e influencer. È così da quando Michele è arrivato alla direzione di Gucci, nel gennaio 2015: tralasciando i particolari – come i riferimenti pop e il tema principale di ogni singola collezione – le sue sfilate si possono descrivere e commentare sempre con le stesse parole. Il suo successo sta infatti nell’aver creato un’estetica originale e personale servendosi sempre della stessa ricetta: l’abbinamento imprevedibile di stili completamente diversi tra loro, ispirati a epoche, luoghi, civiltà lontanissime, che Michele mescola con gusto raffinato e sempre sul filo dell’accozzaglia confusionaria. È andata così anche con questa collezione e anche questa volta, scrive Tim Blanks su Business of Fashion, ha funzionato.

Michele per primo rivendica l’intenzione di creare un mondo e non limitarsi ad abiti e accessori, e prima dell’inizio della sfilata ha spiegato ai giornalisti di voler «rimanere nella mia estetica. […] È tempo di non parlare solo di vestiti», e ha aggiunto che quello che fa non c’entra solo con la bellezza ma «è uno stato mentale, è un’idea di comunità e un’espressione davvero profonda». Michele può permettersi di non cedere alle pressioni del mondo della moda, che con tempi rapidissimi richiede continuamente di sfornare novità, e di voler resistere al «mantra della velocità che violentemente ti porta a perdere te stesso […] e all’illusione di qualcosa di nuovo a ogni costo». È una posizione chiarita negli appunti per la stampa alla sfilata, su cui c’era scritto «l’atto creativo è un atto di resistenza».

La sfilata si è tenuta in un capannone oscuro simile a una caverna fumosa illuminata da pochi proiettori, dove una passerella, che simboleggiava il Tevere, si snodava tra repliche di templi e statue greche, romane, egizie e azteche provenienti da Cinecittà.

Sarah Mower su Vogue l’ha definita «intensa, contraddittoria, un’esperienza letteralmente dark […] Piena di glitter e glam, spalle anni Ottanta, tweed inglese, richiami a Disney e a Sega e a quella riconoscibile orchestrazione multi-tutto di finto vintage con cui Alessandro Michele ha ravvivato Gucci rendendolo una potenza mondiale in tutto il mondo». I 108 abiti sono, ribadisce, un «manifesto che resiste alla pressione di darsi una mossa e cambiare quello che fa».

Questa collezione in particolare era ispirata al rock e a Elton John, di cui Michele è amico: «giacconi, tute a vita alta, giacche con spalle imbottite indossate da modelli ingioiellati e modelle dalle frange arricciate che ricordavano quelle di Renate Blauel, che Elton John sposò il giorno di San Valentino del 1984», scrive il Guardian. Tutto questo mescolato con gli elementi ormai tipici di Gucci: abbigliamento sportivo anni Settanta, berretti, pantaloni attillati, occhialoni geek, slogan e loghi, lunghe pellicce, perle. Si sono visti di nuovi piccoli marsupi e borse con scritto “Guccy”, che fa riferimento a uno dei problemi centrali del mondo della moda del lusso, la contraffazione e la copia, che da tempo coinvolgono anche Gucci.

«La sfilata è un incantesimo che faccio su di voi, come uno stregone», ha detto Michele.