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  • Giovedì 21 settembre 2017

Cosa dicono i sondaggi a tre giorni dal voto in Germania

Che vincerà Angela Merkel e che – con il sistema elettorale tedesco – non si sa che coalizione sosterrà il futuro governo: ma nessuno sembra preoccuparsene davvero

(Jan Woitas/picture-alliance/dpa/AP Images)
(Jan Woitas/picture-alliance/dpa/AP Images)

A tre giorni dalle elezioni politiche in Germania, che si svolgeranno domenica 24, l’esito del voto sembra oramai praticamente scontato. La CDU/CSU, il partito moderato di centrodestra guidato dall’attuale cancelliera Angela Merkel, dovrebbe riuscire senza difficoltà a diventare il partito di maggioranza relativa in Parlamento, mentre la SPD, il partito socialdemocratico guidato da Martin Schulz, resterà a grande distanza. Significa che molto probabilmente Merkel otterrà il suo quarto mandato consecutivo da cancelliera. Le principali sorprese potrebbero arrivare dai partiti più piccoli: la sinistra radicale Die Linke, i Verdi, i liberali di FDP e, soprattutto, l’estrema destra populista di Alternativa per la Germania (AfD).

Secondo la media dei sette principali sondaggi realizzata dal Financial Times e aggiornata al 20 settembre, la coalizione di Angela Merkel dovrebbe ottenere il 36 per cento dei voti, cioè circa cinque punti in meno del suo ultimo risultato alle elezioni del 2013, quando ottenne il 41 per cento. I suoi principali avversari, i socialdemocratici della SPD, dovrebbero ottenere il 22 per cento, tre punti in meno del 25 per cento ottenuto quattro anni fa. Quasi tutti gli istituti di ricerca riportano risultati simili e, storicamente, i sondaggi tedeschi si sono spesso mostrati molto affidabili.

Media sondaggi FT

Le cose sono un po’ più complicate per i quattro principali partiti minori: sinistra radicale, verdi, liberali ed estrema destra. Secondo i sondaggi tutti e quattro dovrebbero ottenere intorno al 10 per cento dei consensi (i verdi sono dati un po’ più indietro, all’8 per cento). Significa che oltrepasseranno tutti la soglia di sbarramento del 5 per cento, a meno di clamorose sorprese, ma che la loro forza relativa in Parlamento potrebbe variare parecchio a seconda di quanti voti prenderanno e di come li prenderanno.

In sostanza: i sondaggi dicono che il partito di Merkel avrà la maggioranza relativa, ma non indicano quale sarà la coalizione di maggioranza che si formerà dopo il voto. In teoria è possibile immaginare persino la nascita di un governo di sinistra: se Verdi e Die Linke andassero molto meglio delle aspettative, potrebbero essere in grado di formare una maggioranza con l’SPD e senza la CDU/CSU. Questo rimane comunque uno scenario poco probabile, anche se in questi giorni i media tedeschi non escludono quasi nessun tipo di combinazione tra i vari partiti. Probabilmente il campo delle possibili alleanze inizierà a restringersi soltanto il giorno dopo le elezioni.

A questo punto bisogna fare una parentesi per spiegare il sistema elettorale tedesco, uno dei più ammirati in tutta Europa. È un sistema sostanzialmente proporzionale, come lo abbiamo oggi in Italia: ogni partito ottiene un numero di seggi più o meno in proporzione al numero dei voti che riceve. Chi prende il 40 per cento dei voti, quindi, avrà circa il 40 per cento dei seggi e chi ne prende il 20 avrà circa il 20 per cento dei seggi. I sistemi proporzionali sono molto apprezzati dagli studiosi di politica perché rappresentano fedelmente le preferenze dell’elettorato, senza distorcere la rappresentanza politica come fanno i sistemi maggioritari; ma costringono partiti dalle posizioni anche molto diverse ad allearsi tra loro, cosa che rischia di creare governi instabili e dalla linea politica indefinita.

L’esempio più eclatante della capacità di distorsione dei sistemi maggioritari, invece, è la legge elettorale del Regno Unito. Alle elezioni 2015 il Partito Nazionale Scozzese (SNP) ottenne il 4,7 per cento dei voti a livello nazionale, ma visto che i suoi voti erano tutti concentrati in poche aree geografiche riuscì a eleggere oltre 50 deputati, il 10 per cento del totale. Lo UKIP prese quasi il triplo dei voti dello SNP, circa il 12 per cento, ma visto che i suoi voti erano distribuiti su tutto il territorio nazionale, elesse soltanto un deputato.

I sistemi maggioritari però hanno di solito un grosso vantaggio rispetto a quelli proporzionali: visto che lo scontro avviene in maniera diretta tra i candidati dei vari partiti che si affrontano per conquistare ogni singolo seggio, gli elettori sviluppano un rapporto più diretto con i propri rappresentanti (nel proporzionale, invece, l’elettore di solito vota una lista di candidati, molto più impersonale). Il sistema tedesco è in parte riuscito a prendere il meglio dei due sistemi. La distribuzione dei seggi, infatti, è su base proporzionale, ma una parte cospicua degli eletti viene scelta tramite “scontri diretti” nei singoli collegi, creando così un forte rapporto con i propri elettori.

Questo risultato è possibile perché in Germania ogni cittadino dispone di due voti. Con il primo (“erststimme”) sceglie un singolo candidato all’interno del proprio collegio in un sistema maggioritario: chi prende un voto in più degli altri viene eletto. Con il secondo voto (“zweitstimme”) l’elettore sceglie una lista o un partito. Questo voto è quello considerato più importante perché è quello che stabilisce qual è la percentuale di seggi parlamentari che avrà ogni partito. Chi prende il 30 per cento dei secondi voti, quindi, avrà diritto al 30 per cento dei seggi. Il meccanismo fondamentale alla base di questo sistema è che i candidati eletti con il sistema maggioritario – quello del primo voto – sono eletti in ogni caso, anche se sono in numero maggiore rispetto alla quota proporzionale che spetterebbe a un partito.

Quando si verifica questa circostanza, tutti gli altri partiti ricevono dei deputati in più, in modo da mantenere la corretta ripartizione proporzionale stabilita dal secondo voto. Questo è possibile in Germania perché il numero di parlamentari non è fisso: è sempre possibile aggiungere altri seggi in modo da rispettare le proporzioni dei vari partiti. Il Parlamento attuale, per esempio, è composto da 630 membri. Nel 2009 erano 622.