E comunque l’ex ingegnere di Google ha torto

Non esistono prove definitive sulle differenze biologiche tra uomini e donne in termini di capacità, e anche se esistessero sarebbe sbagliato assecondarle

Alcune lavoratrici di Google durante una conferenza a Mountain View, il 15 maggio 2007 (AP Photo/Paul Sakuma)
Alcune lavoratrici di Google durante una conferenza a Mountain View, il 15 maggio 2007 (AP Photo/Paul Sakuma)

Sui giornali internazionali e sui social network ci sono state molte e varie reazioni alla diffusione del documento sessista scritto dall’ingegnere di Google James Damore e al suo successivo licenziamento. La tesi del documento (che si può leggere qui senza grafici e link, qui integralmente) è che tra uomini e donne esistano differenze biologiche che rendono le donne meno adatte degli uomini a occupare posizioni importanti a Google e in generale nelle aziende di tecnologia. Secondo alcuni, tra cui Julian Assange, fondatore di WikiLeaks e già ricercato per stupro e molestie sessuali, Google ha sbagliato a licenziare Damore perché avrebbe solo espresso la propria opinione. Altri hanno fatto notare come le considerazioni di Damore sulle differenze tra uomini e donne non abbiano un sostegno scientifico: su questi argomenti ci sono molte ricerche e per ogni teoria secondo cui queste differenze sarebbero come le descrive Damore, ce n’è un’altra che dice il contrario.

Quello delle differenze biologiche tra i sessi è lontano dall’essere un ambito della scienza in cui ci sono certezze. Detto questo che una o l’altra teoria sia corretta ha poca importanza quando si parla di parità dei diritti, delle possibilità di fare il lavoro che si ama e di essere adeguatamente ricompensati per averlo svolto. Insomma, non ci dovrebbe interessare se le idee di Damore sono corrette o no per avere una società migliore.

Annalisa Merelli, una giornalista italiana che vive negli Stati Uniti, ha scritto su Quartz che, anche se le differenze biologiche descritte da Damore esistessero, non giustificherebbero le differenze salariali tra uomini e donne, il cosiddetto “gender pay gap”. Questo perché ogni essere umano, a prescindere dalle caratteristiche con cui nasce, tra cui ovviamente l’essere uomo o donna, e dalla storia evolutiva della specie umana, cambia continuamente nel corso della sua vita, in gran parte in linea con l’ambiente sociale in cui si trova a vivere. Gli antropologi sono abbastanza concordi su questo punto.

Anche per questa ragione, dice Merelli, si dovrebbe smetter di usare l’argomentazione per cui ciò che è “naturale” o “secondo natura” è intrinsecamente la cosa buona e giusta da assecondare. Anche se le differenze biologiche (quindi “naturali”) tra uomini e donne che per secoli sono state usate per giustificare la sottomissione delle donne esistessero, non dovremmo per forza assecondarle se pensiamo che non siano giuste. Con la stessa argomentazione si potrebbero giustificare molte cose moralmente inaccettabili che le persone hanno fatto per gran parte della storia umana, come ucciderci o gestirci usando la legge “occhio per occhio, dente per dente”, o ancora vivere nelle caverne e non fare esplorazioni spaziali. La natura, come molti filosofi e scienziati hanno sottolineato più volte, è amorale: non fa cose sbagliate ma nemmeno intrinsecamente giuste.

Inoltre, anche se diamo per buone le idee di Damore, dobbiamo considerarle valide solo alla nascita e solo per la media delle persone: come esistono donne più alte della media degli uomini, così esistono donne che – sempre nella “ipotesi Damore” – sono più portate per fare ricerca in un’azienda come Google o addirittura guidarla. Quindi la società dovrebbe essere fatta in modo da permettere a una donna del genere di raggiungere posizioni di questo tipo, visto che le merita, e ottenere uno stipendio adeguato.

Detto tutto questo, comunque, al momento non esiste nessuna ricerca che abbia dimostrato una volta per tutte che quello che dice Damore sia vero. Al contrario, ce ne sono alcune che dicono cose opposte. In uno studio del 2009 fatto dall’Università di Chicago e da quella del Maryland sono state analizzate due diverse società del mondo, una africana strettamente patriarcale e una indiana che invece ha una struttura matrilineare, ed è stato rilevato come in quella indiana le donne erano più competitive degli uomini, a dimostrazione del fatto che la società plasma davvero le differenze di comportamento tra i sessi.

Nei commenti alla storia di Damore molte persone hanno citato poi il cosiddetto “paradosso nordico”, quello per cui anche nei paesi come la Norvegia e l’Islanda, dove da decenni esistono politiche per le pari opportunità molto avanzate, i mestieri tradizionalmente maschili, per esempio quelli in cui è necessaria la forza fisica e quelli dirigenziali, vengono svolti da uomini, e quelli tradizionalmente femminili, come l’insegnamento e la cura, vengono svolti da donne. In particolare è stata citata la serie di documentari Hjernevask (“Lavaggio del cervello”), che si trovano anche con i sottotitoli in italiano su YouTube, realizzati dal comico e sociologo Harald Eia per smontare alcune idee sulle differenze di genere. Ci sono due cose di cui tenere conto, però: nel documentario, molto pubblicizzato in Italia dagli oppositori della cosiddetta “teoria del gender”, vengono intervistati scienziati come Simon Baron-Cohen, le cui teorie sulle differenze biologiche tra uomini e donne sono molto contestate da parte della comunità scientifica. Inoltre ci sono anche altre teorie sul “paradosso nordico”. Per esempio secondo Nima Sanandaji, un autore svedese di origine iraniana di idee liberiste, nei paesi nordici le donne continuano a non essere molto presenti nei posti dirigenziali perché il forte sistema di welfare di questi paesi le spinge comunque a non fare carriera.

Di un’altra teoria sul paradosso si è parlato invece l’anno scorso, quando sulla rivista scientifica Social Science & Medicine è stato pubblicato uno studio che dice che nonostante le avanzate politiche per le pari opportunità, in Danimarca, Finlandia e Svezia, la percentuale di violenze domestiche tra i tipi di violenza subiti dalle donne è più alta rispetto alla media dei paesi dell’Unione Europea (22 per cento): in Danimarca è pari al 32 per cento, in Finlandia al 30 e in Svezia al 28. Una delle ipotesi fatte dai ricercatori per spiegare questo fenomeno dice che le politiche di pari opportunità avrebbero avuto una reazione imprevista a causa della ridefinizione dei tradizionali ruoli maschili e femminili in poco tempo (pensate per esempio ai commenti rabbiosi diretti a Laura Boldrini dopo l’innocua dichiarazione sull’immagine stereotipata della donna che porta solo il cibo a tavola negli spot televisivi).