È stata confermata la condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio

Lo ha deciso la Corte d’Assise d’Appello di Brescia dopo una lunga camera di consiglio, Bossetti ricorrerà in Cassazione

Gli avvocati di Massimo Giuseppe Bossetti all'esterno del Tribunale di Brescia (LaPresse - Andrea Campanelli)
Gli avvocati di Massimo Giuseppe Bossetti all'esterno del Tribunale di Brescia (LaPresse - Andrea Campanelli)

La Corte d’Assise d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado all’ergastolo per Massimo Giuseppe Bossetti, accusato di essere stato l’autore dell’omicidio di Yara Gambirasio. La sentenza è stata comunicata nelle notte tra ieri e oggi, dopo una lunga camera di consiglio durata oltre 15 ore. I giudici hanno inoltre confermato l’assoluzione per calunnia nei confronti di Massimo Maggioni, ex collega di Bossetti, perché il fatto non sussiste. Bossetti, che nella mattina di ieri aveva fatto alcune dichiarazioni spontanee in aula chiedendo di riparare a un grave errore giudiziario, si è commosso dopo avere sentito la conferma della condanna.

Massimo Giuseppe Bossetti è un carpentiere di Mapello, in provincia di Bergamo, ed è nato nel 1970: era stato l’unico condannato per l’omicidio di Yara Gambiriasio, una ragazzina di 13 anni di Brembate di Sopra (Bergamo). Gambirasio scomparve nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010, quando non tornò a casa dalla palestra in cui andava a fare gli allenamenti di ginnastica ritmica. Il suo corpo fu ritrovato nel febbraio del 2011 lungo un torrente vicino a Chignolo d’Isola, a circa venti minuti di automobile da Brembate di Sopra. L’autopsia confermò che Yara Gambirasio era stata colpita alla testa e ferita gravemente con un’arma da taglio alla gola, al torace, alla schiena e ai polsi. L’assalitore probabilmente si era allontanato prima che fosse morta.

L’analisi dei vestiti di Gambirasio consentì agli investigatori di trovare tracce di sangue non compatibile con quello della ragazzina. Furono quindi prelevati campioni per l’esame del DNA dalle persone che l’avevano frequentata, dai clienti di una discoteca non lontana dal luogo del ritrovamento del suo corpo a da un gruppo di lavoratori di un cantiere di Mapello, un paese più o meno a metà strada tra Brembate di Sopra e Chignolo d’Isola: il cantiere era l’ultimo luogo in cui si era collegato il cellulare di Gambirasio.

Le indagini proseguirono a lungo e infine gli investigatori riuscirono a confrontare un campione del DNA ottenuto da Bossetti, a sua insaputa, con quello trovato sui vestiti di Gambirasio, e fu trovata una corrispondenza. L’arresto di Bossetti fu disposto nel giugno del 2014, sulla base di ulteriori elementi: nei polmoni di Yara Gambirasio erano state trovate tracce di calce provenienti da un cantiere e sulle suole delle sue scarpe altro materiale per costruzioni. Gli investigatori scoprirono anche che il 26 novembre 2010 il cellulare di Bossetti si trovava nella stessa zona di Gambirasio. Bossetti tentò inizialmente la fuga, ma fu arrestato.

Il processo di primo grado era iniziato il 3 luglio 2015 e si era concluso nel luglio del 2016 dopo 45 udienze. La prova principale a carico di Bossetti era rappresentata dal DNA, raccolto dal Reparto Investigazioni Scientifiche (RIS) dei Carabinieri. Gli avvocati di Bossetti avevano contestato diversi elementi presentati dall’accusa proprio sul DNA, ritenuto una prova non affidabile a sufficienza per le modalità in cui erano stati raccolti e gestiti i campioni per gli esami.

La stessa linea è stata mantenuta durante il processo di appello con Bossetti che ieri aveva chiesto ai giudici: “Concedetemi la superperizia, così posso dimostrare con certezza la mia estraneità ai fatti. Non posso essere condannato con un DNA anomalo, strampalato, dubbioso”. L’avvocato di Bossetti, Claudio Salvagni, ha parlato di una “sconfitta del diritto” e ha confermato che ci sarà un ricorso in Cassazione.