Le novità sul caso CONSIP

Un ufficiale dei carabinieri è accusato di aver depistato le indagini su una fuga di notizie in cui è chiamato in causa tra gli altri il ministro Luca Lotti

(Roberto Monaldo / LaPresse)
(Roberto Monaldo / LaPresse)

Ieri, su Instagram, il segretario del PD Matteo Renzi ha scritto: «Oggi bisognerebbe dare sfogo alla rabbia. All’improvviso scopri che nella vicenda Consip c’è una indagine per DEPISTAGGIO, reato particolarmente odioso, e ti verrebbe voglia di dire: ah, e adesso? Nessuno ha da dire nulla? Tutti zitti adesso?». Renzi si riferiva all’accusa di depistaggio che la procura di Roma ha mosso al colonnello dei carabinieri Alessandro Sessa, un ufficiale sospettato di aver cercato di mettere fuori strada i giudici che seguono il caso CONSIP, un’indagine che riguarda anche il padre di Renzi, Tiziano, e durante la quale erano già emersi comportamenti scorretti degli investigatori. L’indagine sul colonnello Sessa, però, sembra riguardare anche un altro aspetto della vicenda, che rischia di mettere in imbarazzo persone molto vicine allo stesso Renzi, come il ministro dello Sport Luca Lotti.

Il colonnello Sessa è accusato di aver mentito ai magistrati nel corso di un interrogatorio lo scorso maggio. Sessa è un alto ufficiale del Nucleo Operativo Ecologico, il reparto dei carabinieri che fino allo scorso marzo ha condotto le indagini sul caso CONSIP agli ordini dei magistrati di Napoli (l’inchiesta è divisa in due tronconi, uno affidato a Napoli e l’altro a Roma). Secondo la procura di Roma, però, il NOE era una sorta di “colabrodo” che, insieme ad alcuni alti ufficiali dei carabinieri, avrebbe passato notizie riservate sull’indagine agli indagati e alla stampa. Per questa ragione la procura di Roma ha tolto al NOE l’incarico di seguire le indagini.

Durante l’interrogatorio di maggio, Sessa aveva detto ai magistrati di aver parlato dell’indagine CONSIP al suo superiore, il generale Sergio Pascali, comandante del NOE, soltanto dopo lo scorso 6 novembre, cioè dopo che le prime notizie sull’esistenza del caso erano state pubblicate dal quotidiano La Verità. Secondo i magistrati, invece, Sessa avrebbe tenuto costantemente aggiornato Pascali sul procedere delle indagini sin dall’estate del 2016. Tra le prove in mano ai magistrati c’è una chat di Whatsapp tra il colonnello Sessa e un suo sottoposto, il capitano Giampaolo Scafarto (ritenuto responsabile di altri errori nel corso dell’indagine). Il 9 agosto Scafarto scrisse a Sessa: «Abbiamo fatto una stupidaggine a dirlo al capo». Il “capo” potrebbe essere proprio il generale Pascali, oppure un altro alto ufficiale dei carabinieri.

La data in cui Sessa informò i suoi superiori dell’indagine è molto importante. L’inchiesta CONSIP, infatti, ha subìto una grave fuga di notizie nell’estate del 2016. Luigi Marroni, amministratore di CONSIP, la società pubblica al centro dell’inchiesta, ha detto in un interrogatorio con i magistrati che proprio tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate del 2016 cinque persone, direttamente o indirettamente, lo avvertirono di un’indagine che riguardava la sua società. Tra le persone che ha indicato come fonte della fuga di notizie ci sono due alti ufficiali dei carabinieri: il generale Emanuele Saltalamacchia, all’epoca comandante regionale dei carabinieri toscani, suo amico di famiglia e conoscente di Matteo Renzi, e il comandante in capo dei carabinieri Tullio del Sette. Tra gli altri, Marroni ha indicato anche Luca Lotti, stretto collaboratore di Renzi, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio e oggi ministro dello Sport. Lotti ha negato ogni accusa. Saltalamacchia, del Sette e Lotti sono tutti indagati per rivelazione di segreti d’ufficio.

La data in cui il colonnello Sessa avrebbe avvertito i suoi superiori dell’indagine in corso diventa quindi molto importante. Se fosse vero, come ha raccontato ai magistrati nel primo interrogatorio, che non li avvertì prima di novembre, non potrebbe essere lui il responsabile della fuga di notizie. Se invece avessero ragione i magistrati, e quindi se Sessa avesse avvertito i suoi superiori fin dall’estate 2016, allora sarebbe uno dei primi sospettati per le rivelazione che hanno colpito l’inchiesta.

Non esistono leggi che impediscano agli ufficiali di polizia che lavorano alle indagini dei magistrati di riferirne il contenuto ai loro superiori gerarchici all’interno dei vari corpi di polizia: Sessa infatti è indagato per aver mentito ai magistrati, non per aver parlato dell’indagine ai suoi superiori. Queste comunicazioni sono in parte inevitabili: se un magistrato ha bisogno di decine di agenti e di mezzi per svolgere un’indagine, è necessario che i superiori di quegli agenti siano almeno in parte informati sull’indagine in corso. I magistrati, però, cercano di ridurre al minimo la quantità di informazioni che vengono trasmesse per evitare fughe di notizie.

Il principio che i superiori debbano essere informati delle indagini condotte dai loro sottoposti per conto dei magistrati è stato ribadito da una nuova legge che, curiosamente, è stata approvata proprio nell’agosto del 2016 e che è entrata in vigore il primo gennaio 2017. La legge stabilisce che gli agenti che lavorano con i magistrati devono regolarmente informare i loro superiori (che però, ovviamente, non hanno il diritto di informarne gli indagati). Al Post risulta che diverse procure, tra cui quella di Roma, hanno adottato circolari interne per precisare quali informazioni possano essere trasmesse, in modo da evitare l’eccessiva circolazione di informazioni riservate.