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  • Lunedì 22 maggio 2017

Cos’è lo “ius soli sportivo”

Una nuova legge permette ai minori stranieri di venire tesserati nelle federazioni sportive italiane, ma non di gareggiare in nazionale

Le gambe e l'ombra di un bambino che gioca a palla
(VALERY HACHE/AFP/Getty Images)
Le gambe e l'ombra di un bambino che gioca a palla (VALERY HACHE/AFP/Getty Images)

Dal 20 gennaio 2016 in Italia esiste una legge che permette ai minori stranieri di essere tesserati presso le federazioni sportive italiane. La legge riconosce il principio dello ius soli sportivo ed è rivolta a tutti i minori che risiedono regolarmente sul territorio “almeno dal compimento del decimo anno di età”: per loro è prevista l’iscrizione alle federazioni “con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani”.

La legge permette ai minori stranieri di fare sport, ma non dà la possibilità di essere inseriti nelle selezioni nazionali, per le quali è necessario avere la cittadinanza. Alcune federazioni hanno iniziato ad applicare il principio ancor prima che diventasse legge per tutti: lo ha fatto la federazione dell’hockey su prato, quella di atletica leggera e quella pugilistica. Quest’ultima ha tra le sue atlete Sirine Chaarabi, la pugile diciottenne di origini tunisine che la scorsa settimana ha avviato una petizione e scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella perché le riconosca la cittadinanza per meriti sportivi, così da permetterle di partecipare come atleta italiana agli europei di Sofia di luglio e ai mondiali che si svolgeranno in India a novembre. Di recente si è poi parlato del caso di due bambini di una scuola elementare di Ladispoli esclusi da un torneo regionale di scacchi perché, anche se nati in Italia, non sono italiani: la Federazione scacchistica italiana permette di iscriversi a questi tornei se si è italiani o iscritti alla Federazione da almeno un anno.

Secondo l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) la legge è stato un primo passo da accogliere positivamente, sebbene sia carente sotto alcuni aspetti. Per esempio, lo ius soli sportivo può essere applicato solo ai minori che sono entrati in Italia prima di compiere 10 anni. La ragione di questa limitazione è legata in particolare alla pratica del traffico illecito di calciatori: abbassando l’età dei giocatori si riduce anche il rischio che il trasferimento da una nazione all’altra sia dovuto a ragioni di questo tipo. In questo modo però si escludono molti minori arrivati in Italia dopo i dieci anni, e tra questi coloro ai quali è stata riconosciuta la protezione internazionale, che proprio per questo non possono praticare sport in uno stato diverso da quello in cui vivono come rifugiati.

Essendo diventato legge, lo ius soli sportivo deve essere applicato da tutte le federazioni sportive italiane, cosa che in alcuni casi può causare alcuni problemi. La Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), per esempio, applica il regolamento della FIFA, che è la federazione internazionale: questa vieta sia il trasferimento dei minori stranieri già tesserati, sia il primo tesseramento in Italia dei minori stranieri, escludendo tre casi (quando il trasferimento dei genitori nel paese avviene per ragioni indipendenti dal calcio; nel caso il minore risieda entro 50 chilometri dal confine del paese in cui avviene il tesseramento e il club si trovi non oltre 50 chilometri dal confine; e per il ragazzo ultrasedicenne proveniente da uno dei paesi dell’Area economica europea). Anche in questi tre casi, il minore viene ammesso solo dopo aver ricevuto un parere positivo da una sottocommissione FIFA: da quando è lo ius soli sportivo è diventato legge però, questa procedura, essendo più gravosa per i minori stranieri rispetto a quelli italiani, non è più compatibile con l’ordinamento nazionale.