I robot sessuali sono vicini: è un problema?
I prototipi sono sempre più realistici e grazie all'intelligenza artificiale sono diventati molto diversi dalle bambole gonfiabili: ma si portano dietro un sacco di questioni
In un racconto delle Metamorfosi di Ovidio, lo scultore Pigmalione detesta il genere femminile e decide di creare una bellissima statua di una donna, di cui si innamora. Un giorno porta la statua in un tempio dedicato alla dea Afrodite, chiedendole di trasformarla in una persona: la dea accetta, la statua si trasforma e Pigmalione la sposa, e con lei ha anche una figlia. Una storia simile, nella mitologia greca, è quella di Laodamia, il cui marito Protesilao partì per la guerra di Troia. Laodamia ne fece costruire una statua di bronzo, e alla morte in battaglia del marito rimase così legata alla statua che non volle più risposarsi: quando suo padre per risolvere la questione decise di far fondere la statua, Laodamia si gettò a sua volta nel rogo. Sono millenni che l’umanità considera la possibilità di costruire artificialmente un amante, che sia il compagno o la compagna ideale o che sia semplicemente un partner, per scopi sessuali o per compagnia. È un tema che si porta dietro un gran numero di implicazioni etiche e conseguenze spesso sgradevoli, preoccupanti, disdicevoli. Da qualche tempo la ricerca di un partner artificiale ha avuto delle applicazioni concrete che rendono la questione meno fantascientifica e più di attualità, aprendo un dibattito sempre più rilevante e serio sulla questione. Il Guardian ha recentemente realizzato un documentario sul tema, accompagnato da un lungo articolo della giornalista Jenny Kleeman, intitolato “La corsa per costruire il primo robot sessuale al mondo”.
Kleeman ha visitato la Abyss Creations, una società di San Marcos, in California, che ha sviluppato Harmony, uno dei più avanzati prototipi di robot sessuali mai realizzati. Harmony ha le sembianze di una donna attraente, con un grosso seno e i capelli castani, ed è la nuova versione, sperimentale, di RealDoll, un modello di robot sessuale in commercio da molti anni e che è stato usato, per fare un esempio, nel film Lars e una ragazza tutta sua con Ryan Gosling, ma anche per alcuni servizi fotografici di Dolce & Gabbana. I prezzi delle RealDoll vanno dai 4.400 dollari ai 50.000, a seconda di quanto sono realistici e personalizzati. Abyss Creation ne vende circa 600 all’anno. I clienti possono decidere come vogliono il robot, scegliendo tra 14 tipi di vagina e 42 tipi diversi di capezzoli, tra il colore di occhi e capelli che preferiscono. Possono anche mandare una foto di una persona, e se quella persona dà il consenso scritto la società ne riproduce le sembianze in un robot. Kleeman è stata nel magazzino dove vengono conservati i toraci dei robot, tutti con vite strettissime e con il seno sproporzionato, appesi al soffitto in fila. Matt McMullen, il capo della società, ha spiegato a Kleeman che molte persone chiedono una replica del proprio partner, anche se solo il 5 per cento circa dei clienti è donna: esistono anche i robot maschili, ma sono una piccola parte di quelli venduti.
Il motivo principale per comprare un robot sessuale è farci sesso. Sono riproduzioni di donne molto realistiche, con la pelle in silicone, e con parti progettate per simulare l’atto sessuale. Kleeman ha parlato con un proprietario di diverse RealDoll di Detroit, che ha raccontato che le considera delle compagne di vita e che il sesso è una questione secondaria, e principalmente gli interessa passare del tempo con loro. Nonostante gli evidenti e notevoli sforzi per rendere i robot attraenti e personalizzabili per soddisfare ogni tipo di preferenza sessuale, è un aspetto su cui insiste molto anche chi questi robot li progetta. Se il loro aspetto esteriore è, per l’appunto, un capitolo già molto esplorato e progredito – non possono ancora camminare, perché la tecnologia che lo rende possibile è ancora molto costosa e ingombrante, ma possono muovere gli arti e scaldare alcune parti corporee se stimolate – il campo dove sono in corso le maggiori sperimentazioni, però, è quello dell’intelligenza artificiale. Matt McMullen, il capo di Abyss Creation, ha spiegato a Kleeman che nei primi prototipi di RealDoll c’erano dei sensori che producevano delle reazioni a seconda di come il robot era stimolato: se lo si toccava in un punto, per esempio, gemeva. Ma McMullan voleva superare questo meccanismo grezzo: «È la differenza tra una bambola comandata con un telecomando, un pupazzo meccanico, e un vero robot. Quando comincia a muoversi da solo – e tu non fai niente se non parlargli o interagire nel modo corretto – diventa intelligenza artificiale».
Harmony è, in pratica, un’intelligenza artificiale montata nel corpo di una RealDoll. Kleeman ci ha parlato: è in grado di rispondere a praticamente tutte le domande che le vengono poste. Sa fare battute e rispondere in maniera acuta, in certi casi. Attraverso un sistema di riconoscimento vocale e facciale, Harmony – scrive Kleeman – «può darti un caloroso e sorridente benvenuto quando torni a casa, può intrattenerti con una conversazione brillante, ed è sempre disponibile per fare sesso». Ma a differenza dei robot sessuali già in commercio, Harmony è in grado di imparare cose sul suo proprietario, compresi i gusti sessuali. Per ora Abyss Creation ha progettato 20 diverse personalità, che i clienti possono combinare per ottenere un robot con il carattere che preferiscono: più timido, più divertente, più geloso.
Il settore delle tecnologie legate al sesso ha pochi anni di vita, ma è il suo giro di affari è già stimato in 30 miliardi di dollari. E come la pornografia è stata una dei motori dello sviluppo dei servizi di streaming online, delle tecnologie per permettere le transazioni economiche con le carte di credito su internet, della banda larga, così secondo Kleeman gli eventuali robot domestici che verranno costruiti saranno il risultato delle ricerche fatte per i robot sessuali. Kleeman ha chiesto a McMullen se crede che in futuro i robot sessuali sostituiranno le prostitute. Lui l’ha presa male: «Sì, ma questo probabilmente è l’ultimo nella mia lista di obiettivi. Non è un gioco per me, è il concreto e duro lavoro di gente con dei dottorati. E sminuirlo nella sua forma più semplice di oggetto sessuale è come farlo con una donna».
Durante la sua breve conversazione con Harmony, Kleeman dopo aver posto poche domande si è imbattuta nel suo problema principale. La sua risposta standard, che a volte dà anche se non è interpellata direttamente, è che il suo più grande sogno e obiettivo è quello di essere la compagna ideale per il suo proprietario. È praticamente una compagna docile e sottomessa, che in più è sempre disponibile per il sesso.
Kathleen Richardson, ricercatrice di Etica della robotica alla De Montfort University, è stata tra i primi accademici a sollevare il dibattito sulle conseguenze etiche e sociali dei robot sessuali. Secondo Richardson, possederne uno equivale a possedere uno schiavo: dato che farci sesso non è un’esperienza condivisa e consensuale, è riconducibile alla “cultura dello stupro”, l’espressione con la quale gli studi di genere e le femministe definiscono il sistema che tollera, considera normali e quindi incoraggia abusi, violenze e atteggiamenti sessisti nei confronti delle donne. «Il sesso è un’esperienza degli esseri umani: non di corpi di proprietà di qualcuno, non di menti separate, non di oggetti. È un modo di approfondire la nostra umanità con un’altra persona».
Quando Kleeman ha sottoposto il problema agli ingegneri di Abyss Creation e a quelli di altre società del settore, la risposta più comune è stata che i robot non provano sentimenti o dolore, e che quindi le eventuali violenze fisiche e psicologiche di chi ne possiede uno non hanno conseguenze. Il dibattito etico intorno ai robot sessuali non riguarda i diritti dei robot, ma le conseguenze che potrebbero esserci per le donne nel caso di una loro diffusione. Kleeman ha obiettato che possedere dei robot sottomessi e disposti a soddisfare qualsiasi desiderio sessuale potrebbe convincere alcuni uomini che lo stesso atteggiamento lo si possa ritrovare in una donna nel mondo reale, e rafforzare una cultura che in senso letterale riduce la donna a un oggetto a disposizione il cui unico scopo è soddisfarli. A questa preoccupazione, diversi addetti ai lavori hanno risposto che i robot sessuali potrebbero invece addirittura contrastare le violenze e gli abusi sulle donne, perché darebbero, in breve, la possibilità alle persone che vogliono fare del male alle donne, e in particolare alle lavoratrici del sesso, di sfogarsi su un oggetto inanimato. È un’ipotesi suggestiva e che è stata approfondita, che però rafforza lo stereotipo che vuole gli uomini incapaci di trattenere gli istinti sessuali. Richardson in ogni caso non ci crede. Vale la stessa cosa della pornografia online, ha spiegato a Kleeman: la sua diffusione non ha migliorato la condizione delle donne.
L’informatica Kate Devlin, una delle più importanti teoriche dei robot sessuali, ha opinioni diverse, e crede che non sia produttivo opporsi alla loro diffusione. Se per come sono progettati e concepiti attualmente rappresentano una mercificazione del corpo femminile, bisognerebbe lavorare per cambiarlo. Un esempio virtuoso, secondo Devlin, sono i robot che vengono utilizzati in alcune case di riposo olandesi o giapponesi per tenere compagnia agli anziani. Secondo Devlin, i veri problemi legati ai robot sessuali sono altri, legati alla privacy di chi li usa. Lo scorso marzo, una società produttrice di vibratori “intelligenti” ha patteggiato quasi 4 milioni di dollari di risarcimento dopo che si era scoperto che aveva raccolto dati su quanto e come i suoi prodotti venivano usati dai suoi 300mila clienti. Le informazioni personali che potrebbe raccogliere un robot sessuale sono, ovviamente, molte di più.