La squalifica a Muntari è ingiusta?

Il calciatore del Pescara salterà la prossima partita per aver abbandonato il campo dopo aver ricevuto insulti razzisti, e la decisione è stata molto contestata

ANSA/FABIO MURRU
ANSA/FABIO MURRU

Domenica pomeriggio il calciatore ghanese del Pescara Sulley Muntari è uscito dal campo durante la partita contro il Cagliari dopo aver ricevuto insulti razzisti dai tifosi allo stadio e dopo aver litigato con l’arbitro, che lo aveva ripreso per aver parlato con i tifosi che lo insultavano e che lo aveva ammonito in seguito alle sue proteste per non aver fermato la partita, come il regolamento permette agli arbitri di fare in caso di insulti razzisti. In seguito all’uscita anticipata dal campo di gioco Muntari è stato nuovamente ammonito e la doppia ammonizione, come da regolamento, ha portato alla sua squalifica dalla prossima partita di campionato del Pescara. In molti, tuttavia, hanno criticato la decisione del giudice sportivo di confermare la squalifica a Muntari, perché è in qualche modo paradossale che una persona venga punita per aver protestato contro degli insulti razzisti, come se tra vittima e aggressore a pagare debba essere la vittima.

Tra i molti che hanno chiesto che la squalifica a Muntari venga cancellata per rimediare a questo paradosso c’è anche Paolo Condò, uno dei più stimati giornalisti sportivi italiani, che su Twitter ha scritto, ricevendo molto sostegno:

Cos’era successo durante la partita di domenica lo aveva spiegato lo stesso Muntari poco dopo, in un’intervista a Sky Sport, e altri video della partita hanno confermato la sua versione dei fatti.

Il giudice sportivo che ha deciso sulla squalifica di Muntari, Gerardo Mastrandrea, ha anche sollevato il Cagliari dalla responsabilità per i cori razzisti, spiegando che sono stati intonati solo da pochi spettatori (circa 10) e che si sono sentiti nello stadio solo perché c’era particolare silenzio a causa dell’assenza degli ultras del Cagliari. Un passaggio delle motivazioni della decisione spiega che:

Considerato che i pur deprecabili cori di discriminazione razziale sono stati percepiti nell’impianto in virtù anche della protesta silenziosa in atto dei tifosi (come segnalato dagli stessi rappresentanti della Procura federale) ma, essendo stati intonati da un numero approssimativo di soli dieci sostenitori e dunque meno dell’1% del numero degli occupanti del settore (circa duemila), non integrano dunque il presupposto della dimensione minima che insieme a quello della percezione reale è alla base della punibilità dei comportamenti in questione, peraltro non percepiti dagli Ufficiali di gara (come refertato dall’Arbitro), a norma dell’art. 11, comma 3, CGS;»