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  • Lunedì 10 aprile 2017

Il libro da cui è cominciato tutto

Francesco Cundari ha raccontato sul Foglio la storia di "La casta", che compie dieci anni e ha molte responsabilità da giudicare

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella ospiti di un programma televisivo nel 2011 (Cosima Scavolini/Lapresse)
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella ospiti di un programma televisivo nel 2011 (Cosima Scavolini/Lapresse)

Sul Foglio di lunedì 3 aprile – che ogni lunedì esce in una versione che ospita un lungo articolo principale – Francesco Cundari ha ricordato il decimo anniversario della pubblicazione del libro La casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, e il suo ruolo sostanziale o almeno inaugurale in molti sviluppi e derive della politica e della comunicazione italiana dei dieci anni successivi.

Dicono che i giornali non li legga più nessuno, che i libri anche meno dei giornali, che edicole e biblioteche faranno presto la fine dei rivenditori di videocassette. Dicono che viviamo nell’era della disintermediazione. E che di tutte le mediazioni ormai anacronistiche, la più superflua di tutte sia proprio questa che avete adesso sotto gli occhi: il giornalismo politico. Perché c’è internet. Perché ci sono i social network. Perché il politico ormai si racconta da solo, con i tweet al posto delle agenzie e le dirette facebook al posto delle interviste. Dicono che ormai giovani e meno giovani si informino così, in tempo reale, direttamente dal telefonino. Ed è tutto vero.

Eppure. Eppure la più riuscita campagna di opinione degli ultimi decenni è nata esattamente come ai tempi di Emile Zola: da un articolo di giornale. O meglio, da una serie di articoli, pubblicati da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. Articoli che sono poi diventati un libro: La casta.
Misurare ampiezza e diffusione dell’operazione è praticamente impossibile. Di sicuro va ben oltre il milione e trecentomila copie vendute in dieci anni, a partire da quella prima, prudente edizione da 35 mila esemplari, pubblicata il 2 maggio del 2007 e andata subito a ruba. Non per niente, “casta” è diventato uno dei termini più diffusi del lessico giornalistico e politico. “La frase ‘costi della politica’ – annotano soddisfatti gli autori nell’introduzione alla nuova edizione aggiornata del 2008 – era stata citata nell’archivio Ansa 482 volte in ventisette anni dal 1980 al maggio 2007: poco più di una volta al mese. Da allora alla fine di settembre 2008 è stata al centro di 1931 notizie d’agenzia. Più di tre al giorno”.

Ma ovviamente è il titolo – La casta – la parola-chiave di questa storia. Lo slogan più ripetuto, capace di varcare persino i confini nazionali: dall’estrema destra del Front National, con la stessa Marine Le Pen che oggi tuona contro “la caste politico-médiatique”, agli anarco-cazzari di Podemos in Spagna (che tuttavia, forse proprio per marcare la distanza dall’estrema destra, negli ultimi tempi hanno cercato di sostituire il concetto di “casta” con quello di “trama”, a loro parere più utile per indicare il nesso “tra la corruzione e il fallimento di un modello di sviluppo”).
Qualcuno ha detto che un classico è un libro che viene citato anche da chi non lo ha letto. Se è così, La casta merita il titolo di classico anche più della Divina commedia, perché non citarlo è diventato praticamente impossibile. Perché, già a pochi mesi dalla sua prima uscita, poteva vantare più tentativi di imitazione della settimana enigmistica. E perché ha inventato un genere letterario a sé, che nelle librerie occupa interi scaffali.

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