Cosa c’è nella riforma del processo penale
È stata approvata ieri dal Senato, ora tornerà alla Camera: contiene diverse cose fra cui la modifica della prescrizione e nuove regole per le intercettazioni
Mercoledì 15 marzo il Senato ha approvato con la fiducia la riforma del processo penale proposta dal governo, con 151 voti a favore e 121 contro. La riforma, di cui si discute da diversi anni, dovrà tornare alla Camera per l’approvazione definitiva, dato che nel suo primo passaggio nel settembre 2015 era stata approvata con un testo differente da quello attuale. Fra i provvedimenti più importanti – e in mezzo a un mare di aggiustamenti “tecnici” – la riforma prevede un’ampia modifica del meccanismo della prescrizione, un limite più stringente all’azione del magistrato alla fine delle indagini preliminari e una delega al governo per una riforma sulle intercettazioni (che dovrà essere esercitata entro tre mesi). Il percorso della riforma non è stato molto agevole, e come ha spiegato Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, e il risultato è una legge che «nonostante lacune, forzature e contraddizioni introduce comunque novità importanti».
Uno dei punti più discussi – e sui quali si è raggiunto il compromesso più rilevante – è quello della prescrizione. La nuova legge ne allunga i termini, sostanzialmente per cercare di impedire che scatti troppo presto, un meccanismo che invogliava alcuni avvocati a cercare di raggiungerla facendo allungare il processo, piuttosto che dimostrare l’innocenza del proprio cliente: il guaio è che in questo modo, secondo alcuni critici, i tempi già molto ampi dei processi si allungheranno ulteriormente, danneggiando il diritto dell’imputato a essere giudicato in tempi ragionevoli (diritto riconosciuto, ad esempio, anche dall’articolo 111 della Costituzione italiana e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo). Materialmente, i tempi di prescrizione saranno allungati istituendo due periodi durante i quali il suo decorso sarà sospeso: fra la sentenza di primo grado e quella di appello, per un massimo di 18 mesi, e fra quella di appello e di Cassazione, per lo stesso periodo di tempo. In pratica, da quando sarà introdotta la legge, la prescrizione potrà scattare fino a 3 anni più tardi rispetto ad oggi, per effetto dei due nuovi periodi.
Uno dei critici più duri dell’allungamento della prescrizione è il ministro della Famiglia – ed ex viceministro alla Giustizia – Enrico Costa, di Nuovo Centrodestra: qualche giorno fa, parlando col Foglio, Costa ha spiegato che il numero eccessivo di processi che finiscono in prescrizione in certi tribunali va attribuito a un «problema organizzativo», e che quindi «dobbiamo lavorare su quello, non dare più tempo a chi già lavora poco». Secondo il Corriere della Sera, il Nuovo Centrodestra di Costa ha votato la riforma «ob torto collo, per non far cadere il governo», sottolineando la propria contrarietà. Per contro, la tesi di Costa non è condivisa da tutti: alcuni dati indicano che i magistrati italiani sono abbastanza produttivi – anche se non “fra i più produttivi in Europa”, come sostiene l’ANM – e che quindi il loro sarebbe più un problema di risorse che di organizzazione del lavoro, come suggerito dallo stesso Costa. Alla riforma della prescrizione era contraria anche l’ANM, anche se per ragioni opposte: il presidente Piercamillo Davigo ripete da tempo che andrebbe cancellata dopo la sentenza in primo grado, dato che il procedimento viene di fatto proseguito dal condannato, che decide di fare appello.
Un altro provvedimento piuttosto controverso – soprattutto per l’opposizione dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), che l’ha definito “contraddittorio e irrazionale” – è quello che dà tre mesi di tempo al magistrato, alla fine delle indagini preliminari, per decidere se chiedere l’archiviazione o incriminare i sospettati (anche se è possibile chiedere una proroga per altri tre mesi). Al momento il magistrato ha sei mesi di tempo, prorogabili in altri sei. L’ANM sostiene in sostanza che questa norma metta fretta al magistrato: secondo Repubblica, Davigo si è opposto a questa norma perché «vede procure generali inadeguate, inadatte, ingolfate», quindi sostanzialmente incapaci di prendere una decisione su un’indagine, magari delicata, nella metà del tempo prevista dalla legge attuale.
Un altro punto piuttosto spinoso, su cui però il governo si è preso una delega, è quello delle intercettazioni: non sappiamo esattamente cosa conterrà la delega, ma possiamo ipotizzarlo a partire dai contenuti dell’articolo stesso del disegno di legge che delega il governo a intervenire sulle intercettazioni, riassunto bene dal Sole 24 Ore:
L’obiettivo è quello di garantire una maggiore riservatezza degli indagati e delle persone coinvolte nelle indagini evitando la pubblicazione degli “ascolti” irrilevanti o riguardanti persone estranee all’inchiesta. In pratica, il pubblico ministero dovrà selezionare ed escludere dalla documentazione da inviare al giudice a sostegno della richiesta di misura cautelare tutti gli atti e i dati non pertinenti alla responsabilità dei procedimenti per cui si procede oppure considerati irrilevanti ai fini delle indagini perché riguardanti fatti o persone estranee alle indagini. Tale documentazione “irrilevante”, custodita in «apposito archivio riservato», rimarrà a disposizione della difesa: i legali degli indagati potranno esaminarlo o ascoltarlo, ma non chiederne copia.
Rispetto alla legge attuale, quindi, il magistrato non si limiterà ad allegare il contenuto delle intercettazioni nella documentazione che deposita alla fine delle indagini preliminari e che sono atti pubblici a disposizione della difesa e dei giornalisti – cosa che di fatto consente che finiscano direttamente sui giornali – ma dovrà selezionare solo quelle rilevanti (che la difesa potrà vedere, ma non potrà avere a disposizione). L’obiettivo è quindi quello di scoraggiare i giornali dal pubblicare fatti o persone estranee alle indagini, dato che oggi rischiano solamente di ottenere una multa di poco conto: se la documentazione fornita alla fine delle indagini preliminari conterrà fatti o persone estranee, di conseguenza, si potrà individuare il responsabile nel magistrato che ha scelto di includerle (e che quindi potrebbe essere perseguito).
La riforma contiene diversi altri provvedimenti meno controversi, e di cui si è discusso molto meno: come ad esempio l’inasprimento delle pene per furti, rapine e voto di scambio – per quest’ultimo è previsto il carcere per un minimo di 4 a un massimo di 10 anni, che diventeranno rispettivamente 6 e 12 – mentre il governo ha chiesto una delega anche sulla riforma dell’ordinamento penitenziario, di cui ha fornito solo indicazioni generiche. Non è ancora chiaro quando la riforma tornerà alla Camera, dove fra l’altro Nuovo Centrodestra ha annunciato che potrebbe proporre nuove modifiche.