Perché Denis Verdini è stato condannato
La storia ha a che fare con il fallimento del Credito Cooperativo Fiorentino di cui il senatore di ALA è stato presidente per vent'anni
Il tribunale di Firenze ha condannato il senatore Denis Verdini a 9 anni di reclusione nel processo di primo grado per il fallimento del Credito Cooperativo Fiorentino (Ccf) di cui Verdini era presidente. Insieme a Verdini sono state condannate per vari reati anche altre diciannove persone sulle 45 che erano imputate. Le indagini e poi il processo erano nate dai risultati di un’ispezione della Banca d’Italia che nel 2010 aveva chiesto al ministero delle Finanze di commissariare il Credito Cooperativo Fiorentino, avendo riscontrato diverse irregolarità nella sua gestione. L’accusa ha dimostrato in primo grado come, in pratica, l’istituto di credito fosse utilizzato da Verdini come una specie di conto personale con il quale gestire operazioni in favore dei propri interessi e di quelli di persone a lui vicine. Un altro filone delle indagini ha invece a che fare con i fondi per l’editoria percepiti illegittimamente per la pubblicazione del Giornale della Toscana.
Le condanne
Dei nove anni stabiliti per Denis Verdini, sette sono per il reato di bancarotta fraudolenta e due per truffa. Per Verdini è stata anche stabilita l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Insieme a Verdini sono stati condannati anche alcuni imprenditori, l’ex direttore generale del Ccf, i componenti del consiglio di amministrazione dell’istituto, i componenti del collegio sindacale, gli amministratori della società che pubblicava il Giornale della Toscana e quelli di un’altra società che distribuiva il settimanale Metropolis. Infine, è stato condannato anche Massimo Parisi deputato di ALA, il gruppo parlamentare di Verdini. I giudici non hanno riconosciuto l’associazione a delinquere a nessuno degli imputati, assolvendoli, e per tutti i reati di truffa ai danni dello Stato per i contributi all’editoria legati agli anni 2005, 2006 e 2007 è scattata la prescrizione.
Le condanne prevedono anche per Verdini, Parisi, e altri nove condannati il pagamento a favore della presidenza del Consiglio dei ministri di un anticipo immediatamente esecutivo di 2,5 milioni di euro per i reati relativi alla truffa ai danni dello Stato. I condannati dovranno pagare anche le spese legali sostenute dalla presidenza del Consiglio dei ministri (20 mila euro), le spese processuali (altri 20 mila euro) e i danni alla Banca d’Italia (175 mila euro) che nel processo si è costituita parte civile. Nei confronti di Verdini, Parisi e di altri sei condannati è stata stabilita poi la confisca di una somma o di beni pari al valore di più di 9 milioni di euro in totale: l’importo corrisponde ai contributi erogati dalla presidenza del Consiglio dei ministri alla Società Toscana di Edizioni e alla Sette Mari per gli anni 2008 e 2009. In totale le condanne in primo grado sono state 20 su 43 imputati: tra questi ci sono quelli i cui reati sono stati prescritti, un imputato che è deceduto e tre che sono stati assolti.
La storia
Nel 2010 la Banca d’Italia aveva scritto una relazione di circa 1500 pagine sulla situazione del Credito Cooperativo Fiorentino a seguito di un’ispezione durante la quale aveva riscontrato una serie di irregolarità nella gestione. La situazione economica dell’istituto non era buona, la banca venne commissariata e dopo due anni, nel 2012, il tribunale di Firenze ne decretò il fallimento. A quel punto venne aperta un’inchiesta che oltre a Verdini – che aveva guidato la banca dal 1990 al 2010 – aveva coinvolto, tra gli altri, alcuni imprenditori, il consiglio di amministrazione, i sindaci revisori e un altro deputato. Nel luglio del 2014 Denis Verdini venne rinviato a giudizio per vari reati tra cui associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e truffa ai danni dello stato. Con lui furono imputate altre 42 persone e due società. Il processo cominciò nell’ottobre del 2015 e dopo 70 udienze si è arrivati al giudizio di primo grado.
Secondo l’accusa il Ccf aveva concesso una serie di finanziamenti e crediti senza “garanzie” e in assenza di adeguate indagini e documentazioni a persone ritenute vicine a Verdini. Parte di queste operazioni vennero eseguite sulla base di contratti preliminari di compravendite fittizie. In totale gli importi concessi in questo modo sarebbero stati pari a circa 100 milioni di euro. I membri del consiglio di amministrazione partecipavano a queste pratiche «svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini». Sempre secondo l’accusa, di cui i giudici hanno accolto la tesi, il Credito Cooperativo Fiorentino sarebbe stato al centro di un giro di fatturazioni false tra varie società per ottenere i contributi pubblici all’editoria di alcune testate locali come ad esempio il Giornale della Toscana che poi è stato chiuso. Scrive il Corriere della Sera: «Il Credito cooperativo era diventato “la banca del presidente”, e i sindaci revisori, che mai si opponevano alle sue decisioni, altri non erano che “tutti gli uomini del presidente”, ovvero di Denis Verdini. Così come erano atipiche le imprese editoriali studiate “per ottenere contributi pubblici”, quelli appunto delle provvidenze sull’editoria considerate illegali».
Gli avvocati di Verdini hanno fatto sapere che ricorreranno in appello. Nel marzo del 2016 Verdini era stato condannato in primo grado a due anni di carcere nella vicenda della costruzione della scuola dei Marescialli dei carabinieri di Firenze, una struttura che ospita una parte della formazione dei carabinieri nazionale. Quel processo rientrava nella cosiddetta vicenda “grandi appalti”, che riguardava appalti pubblici indetti fra le altre cose per il G8 della Maddalena del 2008 e i Mondiali di nuoto di Roma del 2009. Lo scorso ottobre Verdini era stato prosciolto con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.