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Gente che dorme poco e altri perché

Come mai apriamo le medicine dal lato sbagliato, ordiniamo con il dito sul menu e comunichiamo quanto poco abbiamo dormito: se lo chiede un libro più sul faceto che sul serio

Bompiani ha pubblicato il libro “41 perché di dubbio interesse“, una raccolta di piccoli accadimenti familiari a tutti su cui l’autore – Riccardo Froscianti, copywriter 36enne al suo primo libro – costruisce riflessioni e battute. In alcuni casi cercando una risposta, in altri facendo lo spiritoso: ma è soprattutto nella scelta delle domande che genera il meccanismo di riconoscimento da parte del lettore.

Perché chi si sveglia all’alba lo sottolinea fino al tramonto?

Perché non è riuscito a dormire il giusto e pretende giustizia. I colleghi diventano vittime perfette. E siccome la vendetta è un piatto che può essere servito caldo, li blocca la mattina prima del caffè e rincara la dose prima del secondo.

Si lamenta perché le sue azioni non vogliono reazioni: una seconda colazione, una mail senza allegato, una pausa prolungata, una mail senza oggetto, una battuta poco divertente, una mail senza senso. “Scusa ma stamattina mi sono svegliato all’alba” dice (o scrive) alzando le spalle.

Continua a lamentarsi perché vuole essere libero di commentare: la corrispondenza che non corrisponde mai ai nostri desideri, il collega che ride stranamente al telefono, la collega che non ride stranamente allo stesso telefono, il vecchietto che tiene il passo e non lo cede mai, il tram che non passa, il cameriere che non prende appunti e le riunioni che arrivano sempre a un punto morto. “Ma lo sai a che ora mi sono alzato io questa mattina?” dice (o scrive) abbassando le spalle. A volte allunga lo smartphone credendo di mostrare l’orario della sua sveglia.

E anche quando va a dormire, lo fa sempre in maniera solenne: “Vado a letto perché questa mattina mi sono svegliato all’alba”.

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Perché gli anziani si fermano davanti ai lavori in corso?

A Bologna vengono chiamati umarell gli anziani che vigilano sui cantieri, commentando lavoro e lavoratori. Franco Bonini è Umarell 2015 ed è stato nominato direttore del cantiere ad honorem dal comune di San Lazzaro di Savena che ha perfino istituito un premio.

I cantieri sembrano fatti apposta per grandi e piccini. Postura aerodinamica, mani intrecciate dietro la schiena e un po’ curvi si precipitano veloci sul primo cantiere disponibile: una strada, un palazzo, una piazza, un marciapiede, un lampione, un negozio, un tombino, una rotaia. Tutto è un lavoro in corso. Caldo o freddo gli anziani vogliono un posto in prima fila per capire l’andamento, gli eventuali ritardi, le tecniche usate e i diversi umori.

Perché le ruspe hanno sempre un certo fascino, perché demolire per creare è un bel concetto, perché ne hanno viste troppe per fidarsi di qualcuno. Perché “Chissà cosa troveranno sotto?”

La bicicletta sostituisce la sedia e il giornale mette a fuoco il tema della discussione. Si possono organizzare in gruppo o preferire visite solitarie. La gita più bella del 2015 è stata per tutti quella fatta a Milano, in occasione dei preparativi per l’Expo.

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Perché apriamo i medicinali dalla parte sbagliata?

Il foglio illustrativo è la prima cosa che vediamo. Ma non è stato semplicemente messo dentro. Avvolge con un abbraccio tentacolare il medicinale. Una morsa che sembra infinita. Anche quando sappiamo CHE COSA È o PERCHÉ SI USA. Lo abbiamo comprato apposta. Perché alcune soluzioni restano sempre valide: strappi muscolari-Voltaren, mal di stomaco-Maalox, febbre-Tachipirina, mal di testa-Aspirina.

Ma È IMPORTANTE SAPERE CHE non abbiamo via di scampo: il pizzino è pensato per battere la statistica. Con il 50% di possibilità di indovinare la giusta apertura, puntualmente sbagliamo. Nessuno sa il perché. Magari perché la malattia ci rende più deboli o perché siamo presi dall’ansia di curare (visto che non siamo riusciti a prevenire). O forse perché dobbiamo per forza, PRIMA DELL’USO, LEGGERE CON ATTENZIONE TUTTE LE INFORMAZIONI CONTENUTE NEL FOGLIO ILLUSTRATIVO.

Perché i tassisti si sentono in dovere di spiegarci dove va l’Italia?

Non ci portano mai solo dal punto ‘A’ al punto ‘B’. Devono anche spiegarci come arrivare da una situazione a un’altra. Perché quella precedente è sempre la migliore. Perché oggi è tutto cambiato. In peggio. Perché loro hanno il polso dell’Italia. E di quanto sta viaggiando l’economia.

Il “Non so cosa ne pensa lei, ma…” è la frase che anticipa il comizio, un invito ad allacciare le cinture perché d’ora in avanti sarà un lungo monologo. Le possibili varianti sono “Io non sono razzista, ma…” oppure “Anch’io ho un amico gay, di colore e musulmano, ma…” Da noi si aspettano solo cenni di consenso in favore di camera, perché dallo specchietto retrovisore siamo continuamente ripresi. E anche quando il tassista/conduttore ci chiede un’opinione in realtà è per riavere l’attenzione su di sé.

Solo una telefonata in diretta può interrompere il ragionamento. O meglio, una nostra telefonata. Quella fatta alla trasmissione invece dà la possibilità al tassista/conduttore di continuare la sua esposizione con il pubblico da casa.

L’arrivo finalmente al punto ‘B’ non fa arrivare il discorso da nessuna parte. Ma ci consente di uscire dal programma. E comunque fanno venti euro, tariffa notturna compresa.

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Perché con la nuova stagione estiva arrivano i vecchi consigli?

Bere molta acqua, mangiare molta frutta e verdura, bagnarsi frequentemente polsi e collo ma soprattutto non uscire nelle ore più calde. Anno dopo anno sentiamo sempre gli stessi consigli perché, in fondo, le estati sono tutte uguali. Proprio come le immagini: il pediluvio nelle fontane dei turisti o i colpi di ventaglio degli anziani.

Cambiano solo i nomi (Scipione, Caronte, Minosse) e i record: l’estate più calda degli ultimi sessant’anni o la seconda degli ultimi trenta. Non c’è mai un’estate anonima, che passa inosservata. Almeno secondo gli esperti.

I servizi si ripetono perché anche i giornalisti vanno in vacanza. E se costretti in città, non vogliono sudare le classiche sette camicie per fare un buon pezzo. E quando finalmente finisce l’estate più calda degli ultimi settant’anni arriva tragicamente l’inverno più freddo degli ultimi cinquanta.

Perché Matthew McConaughey è sulla bocca di tutti ma nessuno sa pronunciarlo?

Attore del momento, statunitense, premio Oscar nel 2013 per Dallas Buyers Club, protagonista della serie TV True Detective, sex symbol e considerato da Time come una delle cento persone più influenti al mondo nel 2014.

Ma provate a pronunciarlo. M-a-t-t-h-e-w M-c-C-o-n-a-u-g-h-e-y M-a-t-t-h-e-w M-cC-o-n-a-u-g-h-e-y. Ci fermiamo a Matthew. Un’informazione un po’ vaga. Per sopperire al problema del cognome aggiungiamo una breve ma significativa filmografia. “Ma sì, quello che ha fatto Dallas Buyers Club, soffiando l’Oscar a DiCaprio… e in The Wolf of Wall Street ha fatto quella scena pazzesca, quando batte i pugni sul petto al ristorante… mmm mmm mmmm…”

È più facile dire “Li vuoi quei kiwi?” Così, se 79 i problemi di pronuncia persistono, possiamo sempre chiamarlo come Quello dei Kiwi. Gli altri capiranno.

Perché per ordinare indichiamo con il dito sul menù?

Il menù è una certezza. La certezza del comando. Davanti a noi, un esercito di piatti, ingredienti, prezzi e lingue. Pagine che all’occorrenza diventano tende di un sipario improvvisato, utili per un gioco di magia spicciola: sparire davanti al pubblico degli amici.

Il nome appaga (in parte) la fame e alimenta le (tante) aspettative. A volte diventa un’ossessione, soprattutto in presenza della formula All You Can Eat. Come l’anello per Gollum, il menù è il nostro tesssoro e non siamo disposti a cederlo. Anzi. Per ordinare pattiniamo con l’indice sui nomi dei piatti, da sinistra verso destra e ritorno. Forse perché non siamo sicuri della pronuncia, perché vogliamo essere compresi bene o forse è un modo per entrare in contatto subito con il cibo.

Lasciamo la presa dal menù quando siamo insicuri e alziamo la testa per chiedere informazioni: “Cosa mi consiglia?” Alla risposta segue una nuova ricerca: “E dove lo trovo?” diciamo con la testa bassa. “No, mi dispiace non è nel menù.” I piatti extra ci incuriosiscono e ci spaventano. Non è un nome che possiamo leggere, soppesare con lo sguardo o con il dito. E a quel punto siamo combattuti: prendere un piatto indicandolo con il dito sul menù oppure prenderne un altro, puntando l’indice contro il cameriere per indicarlo. Un gesto, come per dire: voglio quello.