Nella sua prima apparizione pubblica dopo il discorso con cui ha ammesso la sconfitta alle elezioni presidenziali americane del 2016, Hillary Clinton ha detto: «Lo ammetto, venire qui stasera non è stato facile per me. Ci sono state alcune volte, nella scorsa settimana, in cui tutto quello che volevo fare era rannicchiarmi con un buon libro e i nostri cani e non uscire mai più di casa». La carriera politica di Clinton, lunghissima e prestigiosissima, con ogni probabilità è finita la notte dell’8 novembre, quando ha perso contro Donald Trump. È altrettanto probabile però che Clinton continui ad avere una vita pubblica molto attiva, almeno in una prima fase dedicata soprattutto alle attività della Clinton Fundation, la fondazione di beneficenza che gestisce insieme al marito Bill e la figlia Chelsea.
Nella storia recente americana, non ci sono stati molti candidati presidenti sconfitti che abbiano mantenuto la stessa importanza politica che avevano prima della loro candidatura: John McCain, che ha continuato a fare il senatore per l’Arizona ed è rimasto tra i principali leader dei Repubblicani, è uno di questi. John Kerry, otto anni dopo la sua sconfitta nel 2004, è invece diventato segretario di Stato, un incarico più importante di qualsiasi altro avesse avuto prima. Ma c’è stato chi è sostanzialmente scomparso, almeno finora, dai posti che contano: Mitt Romney, per esempio. Abbiamo raccolto le storie post-sconfitta di tutti i candidati alla presidenza degli Stati Uniti che non sono mai stati presidenti e sono ancora in vita. Si va indietro fino al 1984. In mezzo ci sono premi Nobel, pubblicità del Viagra e elezioni al Senato perse dopo aver sostituito un compagno di partito morto in un incidente aereo a pochi giorni delle elezioni.
Mitt Romney
Il candidato del Partito Repubblicano alle elezioni del 2012 prese cinque milioni di voti in meno rispetto a Barack Obama (60,9 milioni contro 65,9 milioni), e ottenne 206 grandi elettori contro 332. Sabato è stato al Trump National Golf Club di Bedminster, in New Jersey, per incontrare il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, che sta tenendo degli incontri per formare lo staff della sua futura amministrazione. Trump e Romney sono stati spesso in disaccordo in passato, e non è chiaro se il primo stia pensando a dare un incarico al secondo. Dopo la sua sconfitta elettorale – che in molti attribuirono alla famosa frase denigratoria sul 47 per cento degli americani – Romney ha tenuto un profilo basso per un paio d’anni, tornando a dedicarsi al mondo degli affari, sua attività prima della politica. È rientrato a far parte del consiglio di amministrazione di Marriott International, la società di alberghi di cui già si occupava prima della campagna elettorale. Nel 2014 è tornato a parlare di politica, evitando l’etichetta del candidato “che aveva perso delle elezioni che si potevano vincere”. Si è anche parlato con concretezza di una sua candidatura alle primarie Repubblicane per le elezioni del 2016: candidatura che è anche stata “esplorata” dallo stesso Romney, che alla fine ha rinunciato. Negli ultimi mesi ha litigato spesso con Trump, e ha detto che non avrebbe votato né per lui né per Hillary Clinton. Nel 2014 è uscito Mitt, un documentario che parla delle sue candidature a presidente degli Stati Uniti nel 2008 e nel 2012.
John McCain
Il senatore Repubblicano ed eroe della guerra in Vietnam che si candidò nel 2008 prese 10 milioni di voti in meno rispetto a Barack Obama. Dopo le elezioni tornò a fare il senatore, rappresentando l’Arizona: nonostante abbia spesso incontrato Obama per discutere di vari temi, McCain è sempre stato molto critico nei confronti della sua amministrazione, soprattutto su questioni di politica estera. Durante le cosiddette “primavere arabe” ha sostenuto la necessità di una transizione democratica in Egitto ed è stato tra i principali sostenitori dell’intervento in Libia per rovesciare il regime di Gheddafi e di quello in Siria contro Bashar al Assad. McCain, anche per via del suo passato nell’esercito, è sempre stato uno dei politici più rispettati del Partito Repubblicano, anche tra i Democratici, e dal 2008 a oggi è stato tra i principali leader del partito. Si è parlato recentemente di lui dopo il caso che ha coinvolto Donald Trump e Khizr Khan, padre di un soldato musulmano morto in Iraq: McCain scrisse una lettera per difendere Khan. Dal 2015 è capo della commissione del Senato per le Forze Armate, e alle elezioni dello scorso 8 novembre ha ottenuto un sesto mandato al Senato per l’Arizona.
John Kerry
Nel 2004 il Democratico John Kerry prese 59 milioni di voti, contro i 62 milioni di George W. Bush, che ottenne 286 grandi elettori. Dopo le elezioni rimase al Senato, per lo stato del Massachusetts, e alle primarie Democratiche del 2008 – per le quali si era parlato di una sua possibile nuova candidatura – sostenne Barack Obama. Fu uno dei favoriti all’incarico di vicepresidente o di segretario di Stato, ma furono scelti al suo posto Joe Biden e Hillary Clinton: diventò però segretario di Stato nel secondo mandato di Obama, dopo la rinuncia dell’attuale consigliera alla sicurezza nazionale, Susan Rice. Tra le decisioni di politica estera più importanti prese durante il mandato di Kerry ci sono state il non intervento in Siria e l’accordo sul nucleare iraniano. Kerry si è anche dedicato molto al tema del riscaldamento globale.
Al Gore
Al Gore arrivò alle elezioni del 2000 da vicepresidente di Bill Clinton, e perse di pochissimo, in una delle elezioni più ravvicinate e discusse della storia degli Stati Uniti: George W. Bush prese mezzo milione di voti in meno, sul piano nazionale, ma ottenne 271 grandi elettori grazie alla vittoria in Florida, ottenuta grazie a poco più di 500 voti di scarto. Gore, che si era già candidato a presidente nel 1988, dopo le elezioni del 2000 si è dedicato soprattutto al tema del riscaldamento globale, di cui è diventato uno dei principali divulgatori a livello mondiale. Il suo libro Una scomoda verità e l’omonimo documentario, entrambi usciti nel 2006, sono stati molto apprezzati, e hanno contribuito a fargli vincere il premio Nobel per la Pace nel 2007 e un premio Oscar. Ha partecipato alle campagne elettorali del Partito Democratico sostenendo Kerry, Obama e Clinton e ha fondato l’Alliance for Climate Protection, un’organizzazione per la sensibilizzazione alla difesa dell’ambiente.
Bob Dole
Il Repubblicano Bob Dole subì una larga sconfitta nel 1996 contro il presidente uscente Bill Clinton, e ottenne oltre otto milioni di voti in meno. Allora aveva 73 anni ed è ancora oggi il più anziano candidato presidente della storia degli Stati Uniti: era già stato candidato vicepresidente con Gerald Ford nel 1976, vent’anni prima. Dopo le elezioni del 1996 ha lavorato come avvocato per uno studio di Washington D.C. e ha tenuto conferenze, scritto libri e partecipato a programmi televisivi. Tra le cose più singolari che ha fatto dopo la sua candidatura a presidente c’è stata una pubblicità del Viagra, il medicinale contro l’impotenza maschile, a cui seguì uno spot televisivo simile e scherzoso per Pepsi (e un altro insieme a Britney Spears). Dopo la sua vittoria alle primarie nel 2016, ha sostenuto Donald Trump, ed è stato l’unico ex candidato presidente Repubblicano a partecipare alla convention Repubblicana la scorsa estate.
Michael Dukakis
Il Democratico Michael Dukakis, di origini greche, perse nel 1988 contro il Repubblicano George H. W. Bush, che ottenne 426 grandi elettori: un risultato incredibile per un candidato che non era un presidente uscente (molto dipendeva anche dalla precedente presidenza Repubblicana, di Ronald Reagan, che godeva di un enorme consenso). Dukakis però ebbe una campagna elettorale complicata: si rifiutò tra le altre cose di diffondere la sua cartella medica, alimentando dei dubbi sul suo passato di instabilità mentale. Durante un dibattito, poi, disse che se sua moglie fosse stata violentata e uccisa non avrebbe voluto la pena di morte per l’assassino: la sua risposta fu considerata ipocrita e contribuì ad affossare la sua candidatura. Dopo le elezioni concluse il suo mandato da governatore del Massachusetts e poi entrò nel consiglio di amministrazione di Amtrak, una società che gestisce le linee ferroviarie americane ad alta velocità. Ha insegnato Scienze politiche in diverse università e ha iniziato a collaborare con il Partito Democratico, dedicandosi soprattutto alla costruzione del consenso politico nei territori. Ha aiutato la campagna elettorale di Deval Patrick a governatore del Massachusetts e quella della senatrice Elizabeth Warren (entrambi hanno vinto). Oggi ha 83 anni.
Walter Mondale
Nel 1984 Walter Mondale si candidò contro uno dei presidenti uscenti più popolari della storia degli Stati Uniti, Ronald Reagan. Finì malissimo, per lui: vinse solo 13 grandi elettori, contro i 525 di Reagan (vinse solo in Minnesota, il suo stato di origine, e a Washington D.C.). Dopo le elezioni, Mondale ha lavorato come avvocato per lo studio Dorsey & Whitney di Minneapolis, e ha insegnato Giurisprudenza in diverse università, fondando anche il Mondale Policy Forum at the Humphrey Institute, un centro studi di politologia. Tra gli anni Ottanta e Novanta è stato presidente del National Democratic Institute, un’organizzazione non-profit internazionale per la promozione e lo studio delle istituzioni democratiche.
Nei primi anni della presidenza di Bill Clinton è stato ambasciatore statunitense in Giappone, e nel 1998 fu nominato da Clinton inviato speciale in Indonesia. È stato membro dei consigli di amministrazione di diverse fondazioni culturali e di centri studi americani. Nel 2002 il senatore Democratico del Minnesota Paul Wellstone morì in un incidente aereo 11 giorni prima delle elezioni, in cui si era ricandidato: i suoi famigliari chiesero a Mondale, che aveva 74 anni, di sostituirlo. Mondale accettò ma perse contro un Repubblicano che era stato Democratico per quasi tutta la sua vita. Nel 2008 diede il suo sostegno prima a Clinton e poi a Obama, quando vinse la nomination.