Un ombrello migliore è possibile?

È uno degli oggetti di uso quotidiano che è cambiato meno nella storia, nonostante si rompa, si perda, si bagni: c'è chi vorrebbe perfezionarlo, ma è difficile

Nel corso della sua vita quasi ognuno di noi avrà visto cambiare intorno a sé quasi tutto. Dai vestiti alle auto ai telefoni, ci sono poche cose che sono uguali a com’erano anche solo dieci o venti anni fa. Una cosa che sicuramente sarà rimasta uguale, immutata, anche andando indietro qualche decina di anni, sono gli ombrelli: e questo nonostante si tratti di strumenti tutt’altro che perfetti. Gli stuzzicadenti, per fare un esempio, non cambiano da tantissimo tempo ma fanno egregiamente quello che devono fare; gli ombrelli invece sono fragili, o se non lo sono molto ingombranti, si rischia spesso di dimenticarli da qualche parte, o di romperli se c’è vento. Senza contare che ci si bagna sempre un po’ e poi quando li si ripone rimangono zuppi e goffi.

E allora perché gli ombrelli non sono cambiati? Come mai, come scrive Atlas Obscura, “in un’epoca in cui riusciamo a mettere un computer in un orologio” non riusciamo ad avere un ombrello migliore? In molti negli anni hanno provato a progettare ombrelli migliori, ma a guardar bene non è una missione semplice e dipende soprattutto da noi.

Si hanno testimonianze di oggetti simili a ombrelli a partire da 1000 anni prima di Cristo, in Egitto prima, e in Grecia e a Roma poi. Sappiamo poi che nel 21 d.C. il re cinese Wang Mang ne fece progettare uno pieghevole per la sua biga, in quello che è considerato il primo esempio di ombrello “moderno”. Inizialmente l’ombrello serviva principalmente per ripararsi dal sole, e infatti la copertura era di carta, poi sostituita dalla seta e dal cotone. La struttura invece poteva essere in legno o in ossa di animale. A partire dai primi secoli del secondo millennio, gli ombrelli furono pensati per proteggere dalla pioggia: e nei quasi mille anni successivi sono cambiati poco, nonostante in moltissimi ci abbiano provato.

L’ufficio che si occupa dei brevetti negli Stati Uniti cataloga gli ombrelli nello stesso gruppo delle tende, delle stampelle e dei bastoni da passeggio: nel 2008, raccontò Susan Orlean sul New Yorker, c’erano più di tremila brevetti attivi collegati agli ombrelli. Tra gli altri, ci sono ombrelli che prevedono il meteo e altri che sanno misurare quanta pioggia sta cadendo. Orlean ha raccontato che le domande per brevetti sugli ombrelli sono così tante che l’ufficio ha quattro dipendenti che se ne occupano a tempo pieno. Chi se ne intende, però, è scettico riguardo le nuove idee: Totes Isotoner, la più grande azienda americana di ombrelli, ha spiegato che ha smesso di considerare nuovi progetti anni fa. Ann Headlet, una dei dirigenti della società, ha spiegato a Orlean che vista l’apparente semplicità degli ombrelli moltissime persone pensano a dei modi per migliorarli, ma pochi se ne escono con idee che non sono già state pensate. Gli ombrelli che si richiudono tramite tre scatti, per esempio, furono prodotti a partire dagli anni Ottanta, ma il progetto era stato brevettato quasi un secolo prima.

C’è stato però chi ha avuto delle idee migliori delle altre e ha provato a farsele finanziare, a volte riuscendoci. Nel 2006, per esempio, l’americano Steve Hollinger brevettò lo Hollinger Improved Umbrella: è un ombrello con una forma allungata e asimmetrica – ha quindi un davanti e un dietro – con una protuberanza sulla parte anteriore pensata per resistere al vento. La sua forma oblunga fa sì che le gambe di chi lo usa siano protette mentre cammina, e nonostante sia piuttosto grosso è stretto abbastanza da permettere il passaggio di due persone, entrambe con l’ombrello, su un marciapiede. Le stanghette che reggono il telo sono cucite nel tessuto, in modo che non possano uscire. In alcune versioni, lo Hollinger Improved Umbrella ha dei particolari fori per permettere il passaggio dell’aria, evitando a chi lo usa di dover resistere alla pressione del vento. Nel 2008 furono prodotti i primi prototipi, ma l’ombrello di Hollinger, da allora, è rimasto in fase di progettazione.

Un progetto simile a quello di Hollinger è il Cypress Umbrella, un ombrello pensato per resistere al vento, grazie a una struttura con sospensioni individuali per ciascuna delle stanghette che reggono il telo. Il Cypress Umbrella ha raccolto quasi 100mila dollari su Kickstarter, ma per il momento accetta solo pre-ordini sul sito.

Un altro progetto che ha attirato qualche attenzione è il KAZbrella, un ombrello che, in sostanza, si piega all’incontrario: invece di richiuderlo lasciando la parte del telo bagnata all’esterno, trattiene l’acqua all’interno. Il KAZbrella ha raccolto circa 350mila euro su Kickstarter, ma anche in questo caso non è ancora in commercio (ma “arriverà presto”, dice il sito).

Un altro progetto che ha raccolto migliaia di euro – quasi centomila – su Kickstarter è l’Air Umbrella, uno dei prototipi di ombrello più rivoluzionari di sempre: consiste in una specie di bastone, disponibile in tre diverse misure, che attraverso un getto d’aria respinge le gocce di pioggia, mantenendo asciutto chi lo regge. È in fase di progettazione e sembra decisamente più irrealistico e lontano degli altri tipi di ombrelli che hanno avuto successo su Kickstarter. Uno dei problemi è la batteria, che dura solo dai 15 ai 30 minuti, e un altro il peso considerevole. Le persone dietro il progetto Air Umbrella hanno dovuto restituire parte dei finanziamenti, perché non sono riusciti a spedire i primi prototipi entro la fine del 2015.

Uno dei problemi di questi ombrelli, e soprattutto dell’Air Umbrella, è che costano molto: e i produttori hanno capito che, forse, la gente non è disposta a spendere molti soldi per un ombrello. Molta gente usa ombrelli da pochi euro, perché li rompe di frequente: e le due cose sono evidentemente collegate. Uno studio di Accessories Magazine del 2010 aveva concluso che le persone spendono in media poco più di 5 euro per comprare un ombrello, un prezzo che suggerisce che vengano considerati più come degli usa e getta invece che come qualcosa a cui prestare davvero attenzione.

Un altro problema, che a sua volta è ciclicamente collegato con gli altri, è che gli ombrelli sono facilissimi da perdere. Per fare un esempio: nel 2014 sui mezzi pubblici di Londra ne sono stati persi più di 10mila. In parte, forse, il problema è dovuto al fatto che la pioggia è un evento temporaneo e che quando smette di diluviare è facile dimenticarsi l’ombrello in un negozio o sull’autobus. E poi non sappiamo mai dove metterli, e questo complica le cose: spesso finiamo per appenderli in posto strani o li appoggiamo per terra in un corridoio o li mettiamo in un porta ombrelli ben nascosto dietro a una porta.

Tutte queste cose rendono quasi impossibile per chi voglia progettare un nuovo ombrello convincerci che può davvero valere la pena spendere di più. Il Kazbrella, per esempio, dovrebbe andare in vendita per circa 58 dollari, circa 50 euro: quanti sarebbero disposti a scommettere di non dimenticarselo più in metropolitana? Una delle ragioni per cui gli ombrelli sono cambiati così poco, ha scritto Ernie Smith su Atlas Obscura, è forse proprio perché chi ha provato a progettarli ha provato a risolvere il problema sbagliato: per avere successo un ombrello dovrebbe assecondare il modo in cui già lo usiamo e quindi diventare ancora di più un oggetto “usa e getta”. Una possibilità potrebbe essere quella di costruire ombrelli con materiali riciclabili e a basso costo, immaginando che vengano usati per qualche giorno prima di essere persi o di rompersi.