Chi era Bernardo Caprotti

La storia dell'uomo che fondò Esselunga, la lasciò ai figli e poi se la riprese, morto ieri a 90 anni

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

(ANSA / MATTEO BAZZI)
(ANSA / MATTEO BAZZI)

Venerdì sera è morto a 90 anni Bernardo Caprotti, fondatore e amministratore di Esselunga, la più grande società di grande distribuzione organizzata in Italia. Caprotti era un imprenditore molto apprezzato, soprattutto al nord-ovest, dove sono concentrati i punti vendita di Esselunga, e soprattutto negli ambienti di centrodestra, ma non solo: l’ex segretario del PD Pierluigi Bersani ha definito il suo modello imprenditoriale “straordinario”. Caprotti è ricordato per la sua tenacia e la passione per la sua azienda, che continuò a gestire con successo fino alla soglia dei 90 anni. Ma nella sua lunga vita ci sono stati anche punti oscuri: la lotta a volte molto dura contro i sindacati, il piglio paternalistico e padronale con cui gestiva l’azienda e i durissimi scontri con i figli, a cui lasciò l’azienda, prima di cambiare idea e riprendersela, fino alla morte.

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Caprotti è riuscito a creare un’azienda di grande successo: oggi ha più di 22 mila dipendenti e 149 punti vendita, e con 6,8 miliardi di fatturato è la più grande società che si occupa in Italia di grande distribuzione organizzata. I suoi conti, come dice un rapporto di Mediobanca uscito pochi mesi fa, sono tra i migliori di tutto il settore. La sua caratteristica è quella di essere organizzata in grandi e grandissimi punti vendita, la maggior parte di dimensioni simili, in modo da renderne più semplice e omogeneo il rifornimento. La concorrenza, formata da società come COOP, Carrefour e Auchan-Sma (questi ultimi due gruppi francesi), punta anche su punti vendita di dimensioni più ridotte, ma diffusi in maniera più capillare (Auchan-Sma ne ha più di 1.800).

Secondo alcuni critici, parte di questo successo è dovuto all’atteggiamento duro e ostile che Caprotti ha sempre avuto nei confronti dei sindacati e del suo paternalismo verso i dipendenti. Oggi le spese di Esselunga per il personale sono circa la metà di quelle del resto del settore. Diverse inchieste giornalistiche nel corso degli anni hanno accusato Caprotti di aver instaurato un clima da caserma nella sua azienda, che non viene subìto solo dai dipendenti, ma anche dagli stessi manager.

L’altra importante caratteristica di Esselunga è la sua diffusione. I suoi punti vendita si trovano quasi esclusivamente in grandi città o nelle loro immediate vicinanze. Inoltre, Esselunga è presente quasi soltanto nel nord Italia: in particolare in Lombardia, Piemonte, Emilia e Toscana. Non ci sono punti vendita Esselunga in Liguria, tranne che vicino a La Spezia, e nemmeno in Veneto, tranne che a Verona, e non ce ne sono in Romagna e in nessuna parte del paese che si trovi a sud di Arezzo (tranne uno, aperto recentemente a Roma). Questa presenza soprattutto nel nord Italia è strettamente intrecciata con la storia della società e quella del suo fondatore.

Bernardo Caprotti nacque a Milano il 7 ottobre del 1925 da una famiglia di imprenditori tessili. Nel 1957, con alcuni soci fondò la Supermaket Italiani SPA e aprì in viale Regina Giovanna il primo supermercato italiano. La proprietà della società era condivisa con i suoi due fratelli, con una serie di imprenditori milanesi e con l’imprenditore americano Nelson Rockfeller. L’insegna del supermercato venne realizzata dal grafico svizzero Max Huber, ed era caratterizzata da un prolungamento della lettera “s”. Questa “esse lunga” diede poi il nome all’intera catena dei supermercati.

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Con l’apertura del supermercato a Milano e di successivi punti vendita a Firenze, Caprotti e i suoi soci diventarono i primi a occuparsi di grande distribuzione in Italia, in un momento in cui il grande supermercato pieno di merci era uno dei simboli più efficaci della modernità e del ritorno alla crescita economica, dopo gli anni difficili della guerra. L’impresa, però, non andava benissimo e i Caprotti riuscirono ad acquistare le quote dei loro soci americani, diventando di fatto gli unici proprietari della società. In quegli anni cominciarono a emergere alcuni tratti del carattere di Bernardo Caprotti, come il suo atteggiamento accentratore e a volte brusco. Nel corso degli anni Sessanta, i fratelli vennero estromessi dalla società, di cui rimase alla guida soltanto Bernardo.

I problemi familiari furono una costante nella storia di Esselunga. Trent’anni dopo i problemi con i fratelli, le prime pagine dei giornali si occuparono di quelli che Bernardo Caprotti ebbe con i suoi tre figli. Nel 1998, all’età di 73 anni e pochi anni dopo aver patteggiato una condanna a 9 mesi di carcere per corruzione alla Guardia di Finanza, Caprotti passò la guida della società al figlio Giuseppe, a cui aveva trasferito un terzo delle azioni della società, lasciando gli altri due terzi alle due sorelle. Giuseppe, insieme alla sorella Violetta, lavorava da anni nella società. Tra i suoi progetti c’era una forte spinta verso il biologico, e una campagna pubblicitaria che usava come slogan “Famosi per la qualità”. Violetta Caprotti produsse un’altra campagna, intitolata “Da noi la qualità è qualcosa di speciale”. I manifesti delle due campagne, ideati da Armando Testa, che raffigurano prodotti del supermercato re-immaginati come animali, persone od oggetti, divennero molto famosi.

Caprotti lasciò il consiglio d’amministrazione della società nel 2002, ma in pochi anni divenne chiaro che non era soddisfatto del suo nuovo ruolo, del lavoro dei figli e di quello dei manager che avevano assunto. Già due anni prima alcune inchieste giornalistiche rivelarono i difficili rapporti interni alla famiglia e le continue intromissioni di Caprotti nell’attività della società. L’episodio più famoso avvenne nel 2004, quando Caprotti mandò quattro automobili di lusso a prelevare i tre principali dirigenti fedeli al figlio, che aveva appena fatto licenziare. La quarta automobile, che ripartì vuota, era simbolicamente arrivata per prendere Giuseppe. Poco dopo, Caprotti decise di estromettere Giuseppe dalla guida dell’azienda e riuscì a farlo, poiché aveva conservato per sé l’usufrutto del 51 per cento delle azioni della società.

Per quasi dieci anni, Caprotti continuò a gestire la sua azienda tramite un piccolo gruppo di fedelissimi manager storici. Nel 2007, pubblicò il libro “Falce e carrello“, in cui accusava le COOP di concorrenza sleale e di essersi alleate con le amministrazioni locali di sinistra per impedire l’arrivo di Esselunga nel centro Italia. Il libro ebbe una storia travagliata: divenne immediatamente un classico, soprattutto negli ambienti di centrodestra, e fu al centro di una complicata vicenda processuale, con richieste di risarcimenti milionari da parte di COOP e un ordine di distruzione di tutte le copie del libro da parte del tribunale di Milano (poi sospeso). La guerra tra Esselunga e COOP è continuata fino a questi anni. Nel 2012, ad esempio, COOP Estense venne condannata per aver ostacolato Esselunga in maniera irregolare. Nel 2016, Caprotti e i giornalisti Maurizio Belpietro e Gianluigi Nuzzi sono stati condannati per diffamazione per una complicata vicenda in cui un manager di COOP Lombardia era stato accusato di intercettare i suoi dipendenti.

Negli ultimi anni Caprotti aveva lasciato la gestione dell’azienda ai suoi manager più fedeli e, secondo le indiscrezioni pubblicate da diversi quotidiani, aveva iniziato a sondare possibili compratori internazionali. Come spesso accade con le grandi società di proprietà familiare, il passaggio di consegne alla generazione successiva è spesso il più difficile. Oggi, dopo la morte del suo fondatore, Esselunga ha davanti a sé un futuro incerto.