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  • Domenica 5 giugno 2016

Non si vendono più i tappeti persiani

Uno dei prodotti più rinomati ed esportati dell'Iran è in crisi, ma non c'entrano solo le sanzioni internazionali

Un esposizione di tappeti persiani a Londra, (Dan Kitwood/Getty Images)
Un esposizione di tappeti persiani a Londra, (Dan Kitwood/Getty Images)

Lo scorso fine settimana il governo iraniano ha organizzato un tour per i giornalisti stranieri nella zona di Shiraz, una città nel sud-ovest dell’Iran frequentata anche dai turisti occidentali. Il tour è stato messo in piedi dal Centro nazionale dei tappeti dell’Iran (INCC, la sigla in inglese), un’organizzazione creata nel 2003 e legata al ministero iraniano dell’Industria e del Commercio. Nei piani dell’INCC, l’iniziativa avrebbe dovuto celebrare i tappeti persiani, tra i più noti e rinomati al mondo, ma le cose sono andate diversamente: è venuto fuori che il settore della produzione dei tappeti è in grossa difficoltà, nonostante la recente rimozione di alcune sanzioni internazionali, e che le popolazioni nomadi coinvolte nella produzione dei tappeti sono sempre meno e hanno cominciato a cercare lavoro da altre parti.

Per secoli l’Iran ha prodotto tappeti molto ricercati, fabbricati per lo più lungo le vie usate dai nomadi attorno a Shiraz. Il processo tradizionale inizia dalle pecore delle tribù nomadi Qashqai e Bakhtiari, che fanno una lana che si adatta perfettamente alla produzione dei tappeti persiani. La lana viene poi lavorata a mano – soprattutto dalle donne – che la incrociano usando solo le dita. Quando il filo è pronto, viene tinto con ingredienti naturali – come le bucce di melograno, molto diffuse in Iran – che vengono fatti bollire a fuoco lento per giorni. Poi il filo viene fatto seccare al vento, prima che si passi alla fase successiva: la tessitura. I tessitori passano mesi a lavorare su un telaio posto orizzontalmente, facendo migliaia di nodi (più nodi per centimetro quadrato significa più qualità). Quando il tappeto è pronto viene tagliato, lavato e messo ad asciugare.

Fino a pochi decenni fa i tappeti persiani si vendevano anche in Occidente, ed erano uno dei beni più importanti delle esportazioni iraniane. Da diverso tempo, però, la produzione è cambiata: molti dei tappeti che oggi si vendono nei bazar iraniani (grandi mercati che sono ovunque e vendono qualsiasi cosa) non vengono più prodotti sulle vie dei nomadi, perché il processo si è dimostrato insostenibile da un punto di vista economico: richiede molto tempo e costi troppo alti rispetto alla scarsità della domanda. Alcuni imprenditori iraniani hanno cercato nuove soluzioni: per esempio hanno aperto delle fabbriche per ridurre i costi di produzione, mantenendo però diverse fasi del processo non meccanizzate, come quella delle tintura.

Come ha scritto il corrispondente del New York Times a Teheran, Thomas Erdbrink, i cambiamenti nel processo di produzione dei tappeti persiani non sono stati sufficienti per raddrizzare il settore. Il problema non è legato solo alle sanzioni internazionali imposte all’Iran per lo sviluppo di un programma nucleare a scopi militari: dopo lo storico accordo sul nucleare trovato dal governo iraniano e da diversi paesi occidentali, le sanzioni sono state in parte rimosse ma la vendita e le esportazioni di tappeti persiani non sono cresciute significativamente. Nei rapporti con i turisti stranieri, uno dei problemi più grandi per i commercianti rimane la transazione finanziaria, che molto spesso può essere fatta ancora solo tramite contanti (gli stranieri non possono prelevare al bancomat in Iran, per le sanzioni, e non possono nemmeno pagare con la carta di credito, a parte alcune eccezioni: e un tappeto persiano costa come minimo diverse centinaia di euro).

Negli ultimi anni anche il mercato interno ha cominciato a penalizzare i tappeti persiani: si sono diffusi tappeti molto più economici – e di qualità molto più bassa – prodotti in Cina e in India. Erdbrink ha scritto che il Centro nazionale dei tappeti dell’Iran ha portato i giornalisti stranieri a visitare un campo di nomadi fuori Shiraz, che avrebbe dovuto raccontare la produzione dei tappeti oggi. «È venuto fuori che parecchi “nomadi” erano lì per recuperare da una dipendenza di droga sviluppata in altre parti del paese e che stavano intrattenendo i turisti come parte di un programma per rimanere puliti», ha scritto Erdbrink.