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  • Venerdì 13 maggio 2016

Come mai l’affluenza è bassa negli Stati Uniti?

Alle presidenziali è tra il 50 e il 60 per cento, a quelle di metà mandato è ancora più bassa: c'entrano questioni etniche e di discriminazioni, anche

di Janell Ross – Washington Post

(AP Photo/Mark Duncan, File)
(AP Photo/Mark Duncan, File)

Gli elettori statunitensi si classificano fra i meno attivi del mondo, in particolare considerando i paesi sviluppati. Nelle ultime elezioni del 2012, secondo i dati più recenti dell’IDEA (Istituto Nazionale per la Democrazia e l’Assistenza Elettorale) la popolazione degli Stati Uniti si aggirava intorno ai 313 milioni di persone, di cui 214 milioni composti da maggiorenni in età votante. Quasi 194 milioni di cittadini americani (ovvero l’80 per cento degli idonei al voto) si erano iscritti per andare alle urne. In tale elezione, circa un 67 per cento dei votanti registrati in tutto il paese sono effettivamente andati ai seggi. Confrontando questi dati con le ultime elezioni tenutesi in vari altri Paesi, si riscontrano il 65 per cento in Russia, il 68 per cento in Canada e l’80 per cento in Francia, secondo dati raccolti dall’IDEA.

E quando si tratta di elezioni che definiscono solo la composizione del Congresso nazionale, le persone a votare sono ancora meno. Nel 2014, l’anno più recente in cui si è tenuta un’elezione di metà mandato negli Stati Uniti, soltanto circa il 43 per cento dei votanti si è presentato alle urne. Pensate adesso al 66 per cento di partecipazione nel Regno Unito alle ultime elezioni parlamentari e al 60 per cento della Russia. Nelle ultime elezioni tedesche, il dato sale a 71 per cento; in Francia si attesta sul 55 per cento.

Voter_turnoutL’affluenza elettorale alle elezioni presidenziali statunitense; quella alle elezioni di metà mandato è storicamente più bassa.

Perché negli Stati Uniti la gente è meno attenta al voto?

La questione non riguarda necessariamente tutti gli americani, ma alcune categorie di votanti specifiche. Per decenni, giornalisti politici e candidati che miravano a farsi eleggere hanno dato per scontato che le persone più istruite, con redditi più elevati, di etnia bianca, più anziani, sposati o proprietari di una casa rappresentassero il gruppo di votanti più affidabile del paese.

La descrizione si addice ai votanti delle elezioni municipali. Ma è vero anche nel caso delle elezioni di metà mandato, che si tengono ogni due anni dopo le elezioni presidenziali. Proprio in quelle elezioni i votanti bianchi, più istruiti e abbienti, insieme ai più anziani, sono il potere dominante. In sostanza: vanno a votare in massa, a differenza degli esponenti di classi in una fascia di reddito bassa e delle minoranze etniche.

La maggior parte degli esperti in scienze politiche spiega il fenomeno in questo modo: si tratta di elettori con più tempo a disposizione, con una posta alta in gioco, dalla più forte e radicata convinzione che le proprie opinioni e priorità contino davvero. Però, a plasmare l’affluenza alle urne ci sono anche politiche e prassi importanti. Una dozzina di stati americani negano il diritto di voto ai detenuti condannati o richiedono loro di presentare una petizione di ripristino del diritto di voto al tribunale. Secondo stime del The Sentencing Project, un ente di ricerca e difesa pubblica, sono almeno 2,6 milioni gli americani privati del voto a causa di tali normative. Chi ne subisce gli effetti principalmente sono i neri e gli ispanici.

E c’è di più: sono più di 20 gli stati americani ad avere norme di riconoscimento dell’identità dei votanti, leggi che richiedono agli elettori di fornire moduli di identità specifici presso i seggi prima del voto. Per ottenere tale documento di identificazione, ai votanti può essere richiesto di recarsi presso una delle agenzie statali in orari lavorativi, spesso con costi amministrativi da sostenere per ricevere il documento. Gli scienziati politici stimano che questa procedura potrebbe interessare milioni di persone idonee al voto nel 2016, la maggior parte presumibilmente nere o di origini latinoamericane.

L’Election Day negli USA non è festa ma un giorno feriale come gli altri, e il voto non è obbligatorio. I funzionari pubblici che organizzano le elezioni generalmente assegnano le macchinette per il voto, i volontari per i seggi e altre risorse in base alle dinamiche dei precedenti turni elettorali. E il seggio assegnato a un elettore è generalmente scelto in base alla vicinanza dell’indirizzo di residenza di quest’ultimo: ecco perché la maggior parte delle persone vota nel proprio quartiere, ambiente piuttosto omogeneo negli Stati Uniti.

Ciò significa che nei quartieri bianchi e benestanti, in cui l’affluenza alle urne è più alta, ci sono più macchinette e personale, con code e tempi di attesa inferiori. La probabilità che gli elettori abbiano un lavoro è più alta, quindi possono permettersi il lusso di prendersi un permesso per andare a votare. Nei quartieri più disagiati, con un’affluenza alle urne più bassa, le code ai seggi tendono a essere più lunghe qualora l’interesse per il voto aumentasse inaspettatamente. E spesso chi percepisce un salario orario non ha tempo per fare lunghe code, rendendo il voto difficile e spesso impossibile. Un’enorme fetta di elettori neri e ispanici sono pagati a ore: per votare, devono perdere delle ore di lavoro.

Per i votanti delle minoranze in quei quartieri con pochi seggi, le lunghe code non sembrano altro che un deterrente al voto per una certa categoria di persone. E visti i precedenti storici del paese in ambito di soppressione del voto da parte dei non bianchi, risulta chiaro come il voto diventi un tema complicato dalle tante sfaccettature razziali e perché siano così pochi gli americani a votare nelle elezioni presidenziali.

@ Washington Post 2016