Un po’ di cose sui vegani

Storia e scienza della scelta alimentare che ciclicamente offre argomenti di conversazione da aperitivo oppure genera aggressive contrapposizioni

di Gabriele Rosso

Un "Veggie pride" a Lione nel 2009: secondo i dati, diverse di queste persone potrebbero essere nel frattempo tornate carnivore (JEAN-PHILIPPE KSIAZEK/AFP/Getty Images)
Un "Veggie pride" a Lione nel 2009: secondo i dati, diverse di queste persone potrebbero essere nel frattempo tornate carnivore (JEAN-PHILIPPE KSIAZEK/AFP/Getty Images)

Da qualche settimana si riparla assai di vegani, in Italia. Il 25 marzo scorso alcuni militanti dell’organizzazione “Fronte Animalista” hanno avuto un teso confronto con Giuseppe Cruciani, il conduttore della trasmissione La Zanzara di Radio24, che in radio e sui social media da tempo attacca e provoca i sostenitori del rifiuto di mangiare cibi di origine e derivazione animale. Il 2 aprile, poi, La Stampa e altre testate hanno diffuso la notizia dell’apertura a Milano del primo asilo nido vegano, “Naturà”, che fornisce un’alimentazione “bio”, a chilometro zero e appunto vegana.

Il veganesimo torna a far parlare di sé molto di frequente, in realtà. È un tema che eccita molto le contrapposizioni, un po’ per gli approcci aggressivi dei gruppi vegani più intransigenti nella difesa delle proprie posizioni, un po’ per la delicatezza delle questioni dell’alimentazione dei bambini: come è accaduto in questi due casi.

Cosa (non) mangiano, quanti sono
La dieta vegana è una variante di quella vegetariana: mentre i vegetariani si limitano a non mangiare né carne né pesce, i vegani si astengono da tutti i cibi che contengono prodotti di derivazione animale, quindi anche latte, formaggi, uova e miele (poi naturalmente tantissime persone adottano le più diverse varietà e sfumature di dieta, ma queste sarebbero le definizioni). Ma il veganesimo si spinge anche al di là delle abitudini alimentari: nella sua accezione ortodossa il vegano non dovrebbe usare vestiti di lana e seta, scarpe, borse e divani di pelle, o cosmetici testati sugli animali. In sostanza il vegano pone al centro della sua visione del mondo il rifiuto di ogni forma di violenza e di costrizione sulle specie animali – equiparandole a quelle compiute sugli umani – mentre il vegetariano non è detto che lo faccia, e anzi spesso motiva le sue scelte alimentari in base a considerazioni diverse di salute e benessere.

I dati diffusi dal Rapporto Italia 2016 di Eurispes parlano di un aumento di coloro che si dichiarano vegetariani nel nostro Paese, che oggi rappresentano il 7,1 per cento del campione di persone intervistate. I vegani si fermano all’incirca all’1 per cento, un dato comunque in grande crescita rispetto allo 0,6 per cento dell’anno precedente. Nel resto del mondo, a parte l’India in cui la percentuale è molto alta anche per motivi religiosi, i paesi a più forte tradizione vegetariana e vegana sono quelli anglosassoni, Regno Unito in testa.

L’aumento recente del numero di vegani in Italia e in altri paesi del mondo occidentale ha fatto spesso parlare del veganesimo come di una moda o un fenomeno di costume passeggero. Alcune ricerche abbastanza recenti hanno dimostrato come buona parte delle persone che avevano adottato uno stile alimentare vegetariano o vegano poi è tornata a mangiare carne. Una di queste è stata realizzata nel 2014 dallo Humane Research Council di Washington, un’organizzazione nonprofit che produce indagini rivolte proprio alle associazioni animaliste: su un campione di più di 11mila americani intervistati è risultato che l’84 per cento dei vegetariani o vegani è poi tornato a essere onnivoro.

Da dove vengono i vegani?
La storia del veganesimo come movimento ha una precisa data d’inizio: il primo novembre 1944, il giorno in cui a Leicester Donald Watson, un insegnante inglese originario dello Yorkshire, fondò la Vegan Society con un gruppo di persone fuoriuscite dalla Vegetarian Society, che era nata nel 1847 sempre in Inghilterra. Vegetariani e vegani si erano divisi proprio sul tema dei diritti degli animali: per i secondi anche l’allevamento costituiva una forma di violenza nei loro confronti. Il primo numero della newsletter The Vegan News cominciava infatti così:

Le lettere e gli articoli comparsi recentemente su “The Vegetarian Messenger” sulla questione dell’uso di latticini hanno fornito forti indizi del fatto che la produzione di questi cibi implica il crudele sfruttamento e l’uccisione di esseri altamente senzienti. La scusa secondo cui non è necessario uccidere per ottenere latticini è insostenibile per coloro che conoscono i metodi di allevamento e la competizione che gli allevatori più attenti al rispetto degli animali devono affrontare se vogliono rimanere in attività

Insomma, a distinguere la filosofia vegana da quella vegetariana c’era una diversa concezione del valore delle vite degli animali. Oggi a questo proposito si parla di antispecismo, un termine con cui si indica un sistema di pensiero che non ritiene gli animali inferiori all’uomo solo perché manca tra loro un legame di specie. Tradotto: tutte le specie animali viventi sono moralmente uguali e hanno pari dignità.
Furono soprattutto il filosofo e saggista australiano Peter Singer e il filosofo americano Tom Regan a porre le basi teoriche del pensiero antispecista, e quindi a fornire l’argomentazione principale a coloro che decidono di seguire una dieta vegana. Il primo con il libro Liberazione animale del 1975, il secondo con il saggio I diritti animali del 1983.

Cosa dice la scienza
Insieme alla questione dell’uguaglianza tra uomini e animali, i due punti principali su cui oggi si basano le argomentazioni dei vegani sono la maggiore sostenibilità ambientale delle diete cruelty free e le questioni di salute. Come ha scritto nei giorni scorsi su The Atlantic Lauren Cassani Davis, una ricerca della University of Oxford ha infatti stimato quanto si potrebbe risparmiare se nel 2050 tutto il mondo seguisse una dieta vegetariana o vegana: tra costi sanitari diretti, costi sanitari indiretti e benefici ambientali, secondo la ricerca un mondo vegetariano risparmierebbe circa 1.483 miliardi di dollari l’anno, mentre uno vegano ne risparmierebbe 1.636.

Allo stesso modo la stragrande maggioranza degli studiosi e degli esperti di nutrizione oggi concorda nel ritenere auspicabile una diminuzione generale del consumo di carne e in generale di proteine di origine animale, anche per motivi di salute e benessere individuali. Nello specifico, però, sono in molti a chiedersi se la dieta vegana faccia bene o, al contrario, abbia delle controindicazioni mediche. E la risposta è piuttosto condivisa: mangiare vegano non fa male, a patto che nella scelta degli alimenti si faccia attenzione a garantire il giusto apporto delle sostanze nutrizionali necessarie a un’alimentazione equilibrata. Difficile invece, se non impossibile, dire se la dieta vegana sia più salubre o meno di una dieta che prevede il consumo di carne e di derivati animali: spesso le associazioni vegane lo affermano esplicitamente, mentre i carnivori più diffidenti sostengono l’esatto contrario, ma non esistono elementi definitivi e universali per dire l’una o l’altra cosa.

Il tema diventa ancora più delicato quando si parla di bambini. Prima delle discussioni sull’asilo vegano di Milano, in passato sono state molto dibattute le notizie su casi di malnutrizione di bambini che osservavano una dieta cruelty free già al di sotto del primo anno di età. Ed è proprio sull’alimentazione vegana dei neonati che anche la comunità scientifica conserva maggiori diffidenze, soprattutto sulle alternative al latte materno. Lo svezzamento, invece, non sembrerebbe presentare particolari problemi, senonché in questi casi si raccomanda ai genitori di informarsi a fondo e di farsi seguire da un pediatra che conosce l’alimentazione vegetariana e vegana: eliminando numerose alternative tra i cibi che si possono dare ai bambini è richiesta una maggiore attenzione proprio perché il pericolo di sbagliare è più alto.

Una questione di cui si legge molto meno e che tuttavia è stata molto indagata dalla comunità scientifica è quella della salute mentale di chi osserva una dieta vegetariana o vegana. Ne ha scritto nei giorni scorsi Anna Momigliano su Studio, sottolineando come «finora nessuno è riuscito a stabilire fermamente che vegani e vegetariani tendono per forza ad avere più disturbi mentali degli onnivori. Però gli studi che propendono verso questa conclusione sono più di quelli che propendono per la conclusione opposta, e tra questi c’è anche quello condotto sul campione più vasto e rappresentativo». Sembrerebbe infatti che ci sia una correlazione tra ansia, depressione e il non mangiare carne. Nonostante ciò, aggiunge Momigliano, «non trovo così difficile pensare che le malattie psichiatriche siano più diffuse tra vegani e vegetariani, eppure non è una ragione valida per screditare la loro scelta. È un dato appurato che i disturbi nevrotici sono più diffusi tra le femmine che i maschi, ma nessuno si sognerebbe di dire che c’è qualcosa di male o di inferiore nell’essere donna».