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  • Giovedì 3 marzo 2016

Come l’ISIS costruisce le sue bombe

Comprando componenti dal mercato legale, che è molto meno sicuro di quanto ci si aspetterebbe

di Thomas Gibbons-Neff – Washington Post

L'esplosione di un'autobomba dell'ISIS nella città curda di Kobane, in Siria, nell'ottobre 2014. (Gokhan Sahin/Getty Images)
L'esplosione di un'autobomba dell'ISIS nella città curda di Kobane, in Siria, nell'ottobre 2014. (Gokhan Sahin/Getty Images)

Uno degli elementi fondamentali dell’arsenale dello Stato Islamico sono senza dubbio gli ordigni esplosivi improvvisati, o IED (l’acronimo inglese di improvised explosive device), che sono diventati essenziali per le capacità di difesa e attacco dell’ISIS mentre cerca di mantenere il controllo sui suoi territori in Iraq e Siria.

La versione moderna degli IED è stata sviluppata nei primi anni dell’ultima guerra in Iraq, quando alcuni gruppi ribelli iniziarono ad attaccare veicoli e pattuglie americani con bombe nascoste, assemblate mettendo insieme pezzi di altre bombe inesplose, prodotti industriali e qualsiasi altro materiale possa essere messo in un contenitore e fatto scoppiare. Combattere queste armi diventò una sorta di partita di scacchi per gli Stati Uniti e i suoi alleati impegnati in Iraq e Afghanistan. Per ogni dispositivo che gli americani mettevano in campo, il nemico sviluppava un’arma capace perlomeno di danneggiarlo. Ma oggi che le guerre di occupazione degli Stati Uniti sono vicine al termine, gruppi come lo Stato Islamico – che combattono nemici sprovvisti delle stesse armi messe in campo dagli Stati Uniti in passato – stanno fabbricando armi su scala quasi industriale.

Un rapporto pubblicato giovedì 25 febbraio da Conflict Armament Research, una ONG che si occupa di ricerca sulle armi, ha esaminato un campione di IED dello Stato Islamico raccolti da campi di battaglia in Siria e Iraq. In circa due anni l’organizzazione ha esaminato oltre 700 componenti di IED, ed è risalita a 51 paesi e 20 aziende dalla Turchia agli Stati Uniti. Il rapporto sottolinea che tutte le aziende coinvolte nel commercio dei componenti hanno operato legalmente, ma la sua scoperta più impressionante è la velocità con cui questi materiali sono finiti delle mani dello Stato Islamico. «Il fatto che questi componenti siano entrati in possesso dello Stato Islamico dopo solo un mese della loro vendita legittima a enti commerciali nella regione dimostra l’assenza di controlli da parte dei governi nazionali e delle aziende», sostiene il rapporto, «e potrebbe indicare la mancanza di consapevolezza sul potenziale utilizzo di questi componenti destinati al mercato civile da parte di terroristi e forze ribelli».

Il rapporto elenca solo materiali disponibili sul mercato, e non gli esplosivi di tipo militare con cui potrebbero essere combinati. Non fornisce nemmeno i dettagli su quale possa essere l’utilizzo degli ordigni, come distruggere veicoli o colpire pattuglie di terra. Molti degli oggetti usati per costruire gli ordigni improvvisati, come cavi per la detonazione e composti chimici, si possono trovare comunemente all’interno e nei pressi di cantieri e strutture minerarie. Il fatto che si trovino in prevalenza in contesti apparentemente innocui non li ha resi però meno problematici. Il rapporto ha individuato in paesi come Turchia e Iraq i responsabili dell’arrivo della maggior parte dei materiali usati per gli IED rilevati dal rapporto. Secondo il rapporto, «la rete di approvvigionamento dello Stato Islamico attinge soprattutto al commercio legale nei paesi che confinano con i territori controllati».

Non sorprende poi che  il cellulare preferito dallo Stato Islamico per la detonazione a distanza degli esplosivi sia il Nokia 105. Dei dieci telefoni presi in esame dal rapporto otto erano stati spediti attraverso una parte terza negli Emirati Arabi Uniti, mentre due erano stati acquisiti nel Kurdistan iracheno: il Nokia 105 è un telefono molto comune in tutto il Medio Oriente.

© 2016 – Washington Post