La nascita del Partito Radicale

Il partito che ha fatto la storia della politica italiana negli anni Settanta nacque sessant'anni fa, da una scissione

Marco Pannella, Mauro Mellini e Adele Faccio, del Partito Radicale, Roma, luglio 1976 (Archivio Cioni Spinelli /LaPresse)
Marco Pannella, Mauro Mellini e Adele Faccio, del Partito Radicale, Roma, luglio 1976 (Archivio Cioni Spinelli /LaPresse)

Il 5 febbraio del 1956 nacque ufficialmente il Partito Radicale, con lo specifico obiettivo di affermare alcuni diritti civili e politici dei cittadini. Fu il partito che fece la storia della politica italiana negli anni Settanta, che contribuì alla legalizzazione di divorzio e aborto, all’obiezione di coscienza, al voto ai diciottenni, alla depenalizzazione dell’uso personale di droghe leggere, alla chiusura dei manicomi e a molte altre cose. Nacque dalla scissione a sinistra del Partito Liberale Italiano, e dall’affermarsi al suo interno della cosiddetta “sinistra radicale”. Dal 2001 il partito ha cambiato nome in Radicali Italiani.

Il Partito Radicale, che inizialmente si chiamava “Partito Radicale dei democratici e dei liberali italiani”, venne in realtà fondato nel dicembre del 1955 durante un convegno che si svolse al cinema Cola di Rienzo di Roma. Il PLI rappresentava idealmente la tradizione moderata del Risorgimento: era nato a Bologna nel 1922, ebbe avuto un atteggiamento di collaborazione con il governo fascista fino al delitto Matteotti del 1924; poi si allontanò dal fascismo, venne sciolto nel 1925 e ricostituito nell’estate del 1943, per iniziativa di Benedetto Croce e Luigi Einaudi. Il PLI non svolse mai un ruolo fondamentale nella politica italiana, ma espresse i primi due presidenti della Repubblica (Enrico De Nicola e Luigi Einaudi). Durante la segreteria di Roberto Lucifero, negli anni Quaranta, e di Giovanni Malagodi poi, dal 1954, il PLI cominciò a spostarsi verso posizioni sempre più conservatrici causando il dissenso della componente interna che si rifaceva invece alla cultura della sinistra liberale e che si raccoglieva attorno al giornale Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio. Nel dicembre del 1955 su Il Mondo, venne pubblicato un articolo in cui si diceva:

«Accomunati dal vincolo fraterno delle amare esperienze, non rassegnati, non perplessi, si accingono a costituire una nuova larga formazione politica che s’ispiri ad una concezione moderna e civile del liberalismo, a quella concezione che Benedetto Croce ebbe a definire ad una parola: radicale (…) In questo campo, i “padroni del vapore” non troveranno certo mercenari e staffieri pronti a vender le idee per un assegno mensile».

L’8 dicembre del 1955, 32 consiglieri nazionali del Partito Liberale Italiano si dimisero per promuovere con altri la costituzione del Partito Radicale dei Liberali e Democratici Italiani. Fra loro c’erano Leopoldo Piccardi, Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Nicolò Carandini, Leo Valiani, Guido Calogero, Giovanni Ferrara, Paolo Ungari, Eugenio Scalfari, Marco Pannella, Franco Roccella. Il mandato ad avviare la costituzione del nuovo partito fu affidato a un Comitato esecutivo provvisorio. Nel frattempo venne formato un comitato degli “Amici del Mondo” con il compito di organizzare un lavoro di ricerca sulle grandi questioni istituzionali, politiche, economiche e sociali del paese. All’associazione partecipavano attivamente anche professionisti, esperti e intellettuali non iscritti a quello che poi diventò il Partito Radicale.

I punti programmatici del nuovo partito prevedevano: una lotta ai privilegi e ai monopoli industriali, commerciali e terrieri per permettere lo sviluppo di un’economia veramente libera; la riduzione dei dislivelli fra i cittadini, le classi sociali e le regioni; l’eliminazione degli sprechi, un effettivo controllo delle pubbliche spese da parte del Parlamento, una riforma dell’ordinamento tributario per rendere le imposte chiare e certe, per accentuare il loro “carattere progressivo” e per alleggerire i ceti meno agiati. La linea economica diceva che «lo stato ha il diritto e il dovere di intervenire organicamente e permanentemente, nella vita economica e sociale, non solo a tutela delle categorie indifese, ma anche per inserire nella vita democratica quei ceti popolari che sono ancora fuori di essa, e sono perciò esposti a soggiacere, o soggiacciono, al richiamo e al disciplinamento degli apparati illiberali». Si parlava di riforma scolastica, del primato della scuola statale e della fine “dell’indolenza del confessionalismo”.

Partito RadicaleTra il 4 e il 5 febbraio del 1956 si svolse il primo convegno nazionale del nuovo partito a Roma, presso la sede di via della Colonna Antonina. L’obiettivo era «approvare lo statuto del partito, designare gli organi dirigenti, predisporre un immediato piano di lavoro». Il nome venne cambiato in Partito Radicale, si decise di partecipare alle elezioni amministrative che si sarebbero svolte tre mesi dopo, si rinnovò l’incarico al Comitato, chiamato Giunta esecutiva, e venne eletto segretario Mario Pannunzio. Alle elezioni amministrative del 27 e 28 maggio il Partito Radicale si presentò in 18 capoluoghi. Il simbolo era una testa di donna con il berretto frigio. Non andò molto bene e ottenne soltanto sei seggi comunali. A Roma il partito fu votato dall’1,2 per cento dei cittadini ed elesse Leone Cattani.

Quello che distinse la prima fase del Partito Radicale fu la proposta di abolire i Patti Lateranensi integrati nella Costituzione e una linea politica dichiaratamente anticlericale. Verso la fine degli anni Cinquanta questa linea si concretizzò in una vera e propria campagna anti-democristiana e anti-comunista, che portò però a un dissenso interno e al conseguente abbandono di alcuni importanti esponenti del nuovo movimento. Negli anni Sessanta, però, si unirono al partito altre personalità: lo scrittore Elio Vittorini, l’attore Arnoldo Foà, Stefano Rodotà, Antonio Cederna, tra gli altri.

Sempre negli anni Sessanta all’interno del partito cominciò a farsi sempre più forte una contrapposizione tra due diverse componenti, divise soprattutto sul ruolo della sinistra in quella fase politica e sul rapporto con gli altri partiti politici. La contrapposizione trovò una soluzione con il cosiddetto “caso Piccardi”. Durante le sue ricerche sul razzismo in Italia, lo storico Renzo De Felice scoprì che Leopoldo Piccardi (tra i fondatori del Partito Radicale e parte della sua dirigenza) aveva partecipato ad un convegno giuridico organizzato dall’Italia e dalla Germania in cui vennero di fatto elaborate le leggi razziali. La parte più a sinistra e più giovane del partito condannò Piccardi, altri invece lo difesero. Il risultato fu che questa seconda componente (meno a sinistra e più anziana) lasciò il partito o venne emarginata e che il nuovo movimento cominciò ad essere guidato dai più giovani: i “giovani guastatori”, come furono definiti dai fuoriusciti.

Nel marzo del 1959 Marco Pannella pubblicò sul quotidiano romano Paese Sera un articolo in cui sostenne che la sinistra democratica europea doveva riaprire il confronto con la sinistra comunista. E fu questo il tema centrale che avrebbe caratterizzato successivamente la strategia dei nuovi radicali. Oggi il partito si chiama Radicali Italiani, e non è più centrale come un tempo: alcuni dei suoi esponenti però hanno raggiunto incarichi importanti – su tutti Emma Bonino.