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  • Martedì 17 novembre 2015

I libri e le bombe a Parigi

Adriano Sofri ha fatto un giro nelle librerie della città dopo aver visto un foglio con scritto "books not bombs", lasciato per ricordare i morti negli attentati

Una libreria a Parigi.
(FRANCOIS GUILLOT/AFP/Getty Images)
Una libreria a Parigi. (FRANCOIS GUILLOT/AFP/Getty Images)

Adriano Sofri si trova in questi giorni a Parigi e sul monumento de la République – dove sono stati lasciati fiori, candele e messaggi per le persone uccise e ferite negli attentati di venerdì – ha trovato un foglio con su scritto “books not bombs”, “libri non bombe”. Ha fatto allora un po’ di giri nelle librerie della città per parlare con i librai e sentire cosa ne pensano di quella frase, e ha raccontato cosa ha scoperto su Repubblica. C’è chi ha tenuto il negozio chiuso perché «ci sono dei giorni così, e specialmente dei giorni dopo», chi cita la pericolosità di libri come il Mein Kampf di Hitler, chi parla di una civiltà che ama i libri contrapposta a un’altra che usa le bombe per distruggerla; e infine chi spiega che «Il libro può proteggerti solo quando abbia una rilegatura solida, e stia nella tasca interna, proprio all’altezza del cuore».

«Parigi. Sul monumento della République c’è un foglio su cui qualcuno ha scritto “BOOKS NOT BOMBS”, “Libri non bombe”, e benché l’idea vada da sé, sono due giorni che ci penso su. Penso a tre variazioni. 1: Libri non bombe. 2: Bombe non libri. 3: Libri e bombe (o il suo risvolto, Né libri né bombe, che accantoniamo). E siccome sono a Parigi, e a Parigi vale la pena anche solo per le sue librerie, vado dai librai.
Del resto, non avevo scelta: interpellare fabbricanti e commercianti di bombe è troppo complicato. È il secondo di tre giorni di lutto, e molte librerie sono chiuse. A Rue de l’Odéon “Le coupe papier” ha messo sulla sua vetrina antiquaria una pagina scritta a mano, con una grafia ammirevole (traduzione mia): “La libreria resterà chiusa oggi. Vogliate scusarmene, ci sono dei giorni così, e specialmente dei giorni dopo”. Poco più avanti è aperta “Amélie Sourget”, e la giovane signora cui chiedo che cosa pensi del motto è gentilmente interdetta. Naturalmente, dice, io vivo di libri, e di bombe si muore. Esistono anche libri cattivi? Certo. E bombe buone? Non so, forse necessarie. Spicca in vetrina una prima versione (1791) di Thomas Paine, Théorie et pratique des droits de l’homme.
Paine abitava di fronte, come ricorda la lapide che lo dichiara «inglese di nascita, americano d’adozione, francese per decreto”, e lo cita: “Quando le opinioni sono libere, la forza della verità finisce sempre per prevalere”. Là sotto c’è la libreria Guénégaud, specializzata in caccia, manieri e castelli e storia locale, sono il primo del giorno e non sono nemmeno un cliente. Il signore che mi riceve è decisamente all’altezza delle tradizioni custodite dai suoi scaffali, e si sbriga: “Tanto i libri non li legge più nessuno, qualche vecchio come lei e me. E le bombe sono mera gesticolazione”. Se vendessi bombe invece che libri, dice, gli affari andrebbero a gonfie vele. Certo che i libri possono essere pericolosi, dice, e fa un elenco in cui il Mein Kampf è surclassato da Stalin e Mao e Fidel. Direi che non diffidi delle bombe, quanto dei bersagli troppo lontani, dal momento che “i terroristi sono francesi, li abbiamo in casa”».

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