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  • Venerdì 25 settembre 2015

La risposta di Roberto Saviano alle accuse di plagio

Dice che non sono vere, fa degli esempi e spiega su Repubblica che è un modo per delegittimarlo

Roberto Saviano ( AP Photo/Salvatore Laporta)
Roberto Saviano ( AP Photo/Salvatore Laporta)

Su Repubblica di oggi Roberto Saviano ha scritto un articolo per rispondere alle accuse di plagio che gli sono state rivolte dal giornalista Michael Moynihan sul Daily Beast per il suo ultimo libro, ZeroZeroZero, da poco pubblicato negli Stati Uniti. Nell’articolo Saviano riprende alcuni esempi fatti sul Daily Beast per dimostrare però la tesi opposta, e cioè che non ha copiato, e spiega che si tratta semplicemente di un modo per colpire personalmente lui, diventato “un simbolo da distruggere”.

Accade sempre così, prima con “Gomorra” e ora accade con “ZeroZero Zero”:quando un libro ha molto successo, quando supera il muro dell’indifferenza, quando le storie che veicola iniziano a creare dibattito, è quello il momento giusto per fermare il racconto. Per bloccarlo. E come sempre il miglior metodo è gettare discredito sul suo autore. Come se fosse possibile smontare davvero un libro di oltre 400 pagine con un articolo di qualche migliaio di battute. Ma forse questo è lo scopo di una recensione a ZeroZeroZero uscita sul Daily Beast, che non si è accontentata di essere una stroncatura (è normale, no?, che un libro ne riceva), ma che vorrebbe essere altro. Che cosa, esattamente, lo lascia intendere l’autore, che si sofferma forse un po’ troppo sulla mia figura, sul fatto di essere ormai percepito come un personaggio politico e non solo come uno scrittore. Non è evidente, allora, che i miei libri, tutti, finiscano per scontare questa paternità troppo ingombrante?

Così, quando non si può dire che ciò che racconto è falso, si dice che l’ho ripreso altrove. Ma il mio lavoro è esattamente questo: raccontare ciò che è accaduto, nel mio stile, nella mia interpretazione. Mi accusano di aver ripreso parole altrui: come se si potesse copiare la descrizione di un documentario. Se la protagonista è donna, è madre, ha 19 anni, si chiama “Little One” e ha un numero tatuato in faccia, non so quanti modi ci possano essere per raccontarlo.

Di più. Per rendere i brani simili, il mio critico taglia il testo che avrei preso a riferimento, come fa per esempio nel caso di un passaggio del Los Angeles Times . Scrive il giornale americano, secondo il Daily Beast: «… there are 15,000 gang members in El Salvador; 14,000 in Guatemala; 35,000 in Honduras; and 5,000 in Mexico. The biggest population of gang members still resides in the U.S., with an estimated 70,000 living there…». E questo sarebbe il brano che io avrei ripreso in ZeroZeroZero : «…about 15,000 members in El Salvador, 14,000 in Guatemala, 35,000 in Honduras, 5,000 in Mexico. The highest concentration is in the United States, with 70,000 members». E certo che i due passaggi si somigliano. E sapete perché? Perché per fare il suo gioco il Daily Beast ha omesso dall’articolo del Los Angeles Times un passaggio significativo. «Speaking at the Mexico City premiere of La Vida Loca last month, Poveda said officials estimate there are 15,000 gang members in El Salvador; 14,000 in Guatemala; 35,000 in Honduras; and 5,000 in Mexico. The biggest population of gang members still resides in the U.S., with an estimated 70,000 living there, he said». La frase completa spiega insomma che quei numeri li ha dati Poveda stesso alla première messicana del film nel 2009. Ed è difficile dare questa informazione in maniera diversa, soprattutto se è Poveda stesso ad averne parlato.

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