Il figlio di Martina Levato

La ragazza condannata per l'aggressione con l'acido a Milano ha partorito, il tribunale dei minori ha avviato le pratiche perché sia adottato da un'altra famiglia

La studentessa Martina Levato viene portata nell'aula delle direttissime del palazzo di Giustizia di Milano, 8 gennaio 2015. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO
La studentessa Martina Levato viene portata nell'aula delle direttissime del palazzo di Giustizia di Milano, 8 gennaio 2015. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO

Aggiornamento 19 agosto – I giudici del tribunale dei minori di Milano hanno deciso che il figlio di Martina Levato e Alexander Boettcher sarà adottato da un’altra famiglia. Nel frattempo che la pratica viene istruita, Levato potrà vederlo una volta al giorno, in presenza di operatori sanitari e senza allattarlo al seno. La pratica di adozione è soggetta comunque a una nuova decisione, più avanti. Nel frattempo ai genitori è stata sospesa la patria potestà e il bambino è stato affidato al comune di Milano.

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Nella notte tra il 14 e il 15 agosto Martina Levato, la ragazza condannata per l’aggressione con l’acido a Pietro Barbini avvenuta lo scorso 28 dicembre a Milano, ha partorito un figlio. Levato è stata condannata in primo grado a 14 anni di carcere all’inizio di giugno, insieme al suo complice Alexander Boettcher che è anche il padre del bambino. Il neonato è stato separato da Levato immediatamente dopo la nascita, come deciso dal pubblico ministero del Tribunale per i Minori Annamaria Fiorillo. Ora un giudice di quel tribunale dovrà prendere una decisione definitiva sull’affidamento o l’adozione del bambino.

La storia di Levato, Boettcher e Barbini, in breve
Levato e Boettcher sono stati condannati per aver organizzato un agguato a Pietro Barbini – studente italiano che vive a Boston – durante le vacanze di Natale del 2014, quando era tornato a Milano per le feste. Riuscirono ad attirarlo con la scusa di consegnargli un pacco postale e lo aggredirono gettandogli addosso due litri di acido. Barbini venne portato subito in ospedale, subì diversi interventi di chirurgia plastica e restò sfigurato. La motivazione dell’aggressione nasceva apparentemente dal tentativo di Barbini di convincere Levato a lasciare Boettcher. Sia Levato che Boettcher sono stati considerati capaci di intendere e di volere e sono stati condannati a 14 anni di reclusione per lesioni gravissime. Durante l’indagine sono emersi anche aneddoti e fatti a metà tra il tragico e il grottesco riguardo la relazione tra Levato e Boettcher, descritta da molti come morbosa e possessiva.

Il figlio di Levato
Il provvedimento sul neonato emesso dalla pubblico ministero Fiorillo è stato ritenuto necessario e urgente a causa del particolare giorno festivo in cui è nato il bambino. «Se fosse nato un giorno prima o due giorni dopo tutto sarebbe stato meno gravoso», ha detto Fiorillo: in un giorno normale ci sarebbero stati gli appositi uffici giudiziari per occuparsi della questione. Ora il giudice dei minori dovrà decidere fra tre opzioni possibili: lasciare il bambino con la madre, affidarlo ai parenti di lei o renderlo adottabile. La pm Fiorillo chiede questa ultima opzione e ha depositato ricorso per l’adozione il 16 agosto; i genitori di Levato hanno detto alla stampa di essere disposti ad accudire il bambino.

Come funziona la maternità carceraria in Italia
In Italia è possibile che i bambini restino con la madre anche quando questa è detenuta. Oggi in Italia ci sono tra i 50 e i 60 bambini che vivono in carcere: nella gran parte dei casi sono figli di donne condannate per reati legati allo spaccio di droga, quindi non considerate pericolose. In alcune carceri sono previste delle sezioni nido, proprio per questo tipo di esigenze. In ogni caso il bambino può restare con la madre in un istituto carcerario solo per i primi tre anni di vita.

Riguardo affido e adozione, ai figli delle donne detenute si applicano gli stessi criteri che si applicano al resto della popolazione: sono due istituti che possono essere decisi quando i genitori non sono considerati – dal tribunale dei minori, su richiesta dei servizi sociali – in grado di fornire ai figli temporaneamente o definitivamente l’assistenza morale e materiale necessaria alla loro crescita, o che si trovano in situazioni di gravissima instabilità familiare.