Una nuova proposta di legge sulla marijuana

È stata presentata da un intergruppo parlamentare e cofirmata da 218 parlamentari: prevede la legalizzazione di consumo, vendita e coltivazione, ma con molti limiti

La Presentazione della proposta di legge per la legalizzazione della cannabis. Nella foto Benedetto Della Vedova. (Foto di Roberto Monaldo / LaPresse)
La Presentazione della proposta di legge per la legalizzazione della cannabis. Nella foto Benedetto Della Vedova. (Foto di Roberto Monaldo / LaPresse)

Giovedì 15 luglio è stata presentata alla Camera una nuova proposta di legge per la legalizzazione della marijuana, la cui vendita e utilizzo sono tuttora illegali in Italia. Negli anni sono state fatte diverse proposte sul tema – già interessato da riforme di diversa natura in molti paesi europei – e un intervento legislativo è in qualche modo richiesto dalla bocciatura della Fini-Giovanardi, l’ultima legge approvata sul tema, avvenuta nel febbraio 2014 da parte della Corte Costituzionale. La proposta di legge presentata ieri ha una particolarità che la rende però più “solida” di altre: è frutto del lavoro di un intergruppo parlamentare di cui fanno parte 113 deputati ed è stata cofirmata in tutto da 218 parlamentari. Prevede limiti molto stretti per il possesso e la coltivazione personale di marijuana, ma permette anche la creazione di “negozi” specializzati in marijuana regolamentati da un monopolio di stato (a grandi linee come previsto in Colorado, negli Stati Uniti, da un anno e mezzo).

Il capo dell’intergruppo è Benedetto Della Vedova, fra le altre cose ex presidente dei Radicali e ex deputato di Futuro e Libertà, oggi senatore del Gruppo Misto e sottosegretario agli Esteri. L’intergruppo è composto principalmente da parlamentari del Partito Democratico, di SEL e del Movimento 5 Stelle: nessuno dei parlamentari che ne fa parte appartiene a un partito di centrodestra (Forza Italia, Lega Nord e Nuovo Centrodestra). Secondo l’ANSA la nuova proposta di legalizzazione della marijuana è stata però cofirmata anche da parlamentari di Forza Italia e Scelta Civica.

Cosa prevede la proposta
In sostanza, propone l’introduzione della «detenzione lecita di una certa quantità di cannabis per uso ricreativo – 5 grammi innalzabili a 15 grammi in privato domicilio – non sottoposta ad alcuna autorizzazione, né ad alcuna comunicazione a enti o autorità pubbliche». Non sarà possibile consumare marijuana in luoghi pubblici, sia all’aperto sia al chiuso: andrà fumata solo in luoghi privati (e sarà vietato guidare dopo l’assunzione). Ciascun cittadino potrà coltivare in casa propria fino a un massimo di 5 piante, segnalandolo al monopolio di Stato (ma senza la necessità di dover richiedere un’autorizzazione). Per quanto riguarda la vendita, sarà permessa «solo in esercizi dedicati esclusivamente a tale attività», e regolamentati da un monopolio. Restano dunque in piedi le norme relative allo spaccio, che sarà vietato anche per quantità molto ridotte (5 grammi).

È inoltre prevista la creazione di associazioni formate su modello dei “Social Cannabis Club” presenti in Spagna: un’associazione formata da un massimo di 50 persone che possono decidere di coltivare insieme le cinque piante a testa previste dalla legge (per un massimo quindi di 250 piante per coltivazione).

(le slide riassuntive della proposta, presenti sul sito dell’intergruppo)

Cosa dice la legge, oggi
L’uso della marijuana a scopro ricreativo è illegale in Italia, mentre è legale, seppur con molte limitazioni, il suo utilizzo a scopo terapeutico. Fino a un anno e mezzo fa legge in vigore in materia di disciplina degli stupefacenti era la cosiddetta “Fini-Giovanardi”, che generò molte discussioni quando fu emanata nel 2006. La legge, che non prevedeva distinzioni tra droghe leggere e pesanti, è stata però giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale nel febbraio del 2014 per via del suo tortuoso processo di approvazione (alcuni articoli furono inseriti in un maxi-emendamento che riguardava anche le Olimpiadi di Torino del 2006 e misure anti terrorismo). Da un anno e mezzo è quindi tornato in vigore il Testo Unico 309 del 1990: è la cosiddetta “Iervolino-Vassalli”, dai nomi dei suoi due promotori, l’allora ministro per gli Affari Sociali Rosa Russo Iervolino, della Democrazia Cristiana, e l’allora ministro della Giustizia Giuliano Vassalli, socialista.

La Iervolino-Vassalli stabilisce che l’uso personale di droga – sia “leggera” che “pesante” – sia un reato, e prevede sanzioni di tipo amministrativo (un referendum promosso dai Radicali e approvato nel 1993 col 55 per cento dei voti abolì il carcere per l’uso personale di droga). La produzione e lo spaccio sono invece sanzionate con pene diverse e si prevede il carcere: ma i periodi variano sia in base alla distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, sia in base alla quantità coinvolta, se “modica” o più ingente. La distinzione tra “leggere” e “pesanti”  è fatta in base ad apposite tabelle pubblicate dal ministero della Salute, reintrodotte dopo la bocciatura della Fini-Giovanardi.

La legge Fini-Giovanardi aveva abolito la distinzione tra droghe leggere e pesanti, unificando le tabelle del ministero della Salute, e aveva portato a un inasprimento delle sanzioni. Nel caso di condanna per spaccio e traffico di stupefacenti le pene andavano da 6 a 20 anni: in concreto, la pena minima per un piccolo spacciatore di marijuana si alzava dai due ai sei anni e prevedeva dunque quasi certamente il carcere. Il risultato è stato molto grave soprattutto dal punto di vista del sovraffollamento delle carceri. Secondo il Quarto Libro Bianco sulla Fini-Giovanardi – uno studio dell’impatto della legge sulla popolazione carceraria italiana curato dall’Osservatorio Antigone, un’associazione per la difesa dei diritti dei detenuti – al 31 dicembre 2012 i detenuti presenti nelle carceri italiane erano 65.701, di cui 25.269 solamente a causa di un articolo del Testo Unico sulla carcerazione, modificato dalla Fini-Giovanardi: circa il 38,46 per cento dei detenuti totali.