I detenuti che lavorano a Expo

Sono cento, tra italiani e stranieri, e arrivano dalle carceri di Bollate, Opera, Monza e Busto Arsizio: si occupano di dare informazioni ai visitatori

Un gruppo di detenuti che lavora a Expo (Ansa)
Un gruppo di detenuti che lavora a Expo (Ansa)

Dal primo maggio, giorno di apertura di Expo, tra i volontari e lo staff che lavorano nel sito ci sono cento detenuti di varie carceri lombarde – Opera, Bollate, Busto Arsizio e Monza – che danno informazioni ai visitatori e li aiutano in caso di bisogno. Questo progetto di inserimento dei carcerati come lavoratori a Expo è nato dal dipartimento di amministrazione del penitenziario (un organo del Ministero della Giustizia) ed è stato appoggiato dal provveditorato regionale della Lombardia e dalla magistratura di sorveglianza, che ne hanno seguito le varie fasi, dall’approvazione fino alla scelta delle persone adatte al lavoro esterno.

Come spiega Luigi Palmiero, un funzionario del Ministero della Giustizia, di questi cento lavoratori trentacinque sono stranieri, gli altri italiani, mentre sono otto le donne coinvolte nell’iniziativa. L’idea è quella di coinvolgere persone motivate a rendere migliore l’evento e in contemporanea di sensibilizzare le persone sul tema del reinserimento dei carcerati: “Il percorso di esecuzione penale non è un vuoto cosmico, ma deve essere riempito di contenuti all’interno dei quali la società con queste persone fa un patto, offrendo loro una seconda opportunità. Questa è la finalità principale del programma, la possibilità concreta di rivedersi all’interno della società, a fare un lavoro e a proporsi in una vita nuova”.

Dall’istituto correttivo della Casa Circondariale di Monza, una struttura che al momento contiene circa 600 detenuti, sono state selezionate otto persone per lavorare ad Expo, mentre dalle carceri di Bollate, Busto Arsizio e Opera escono gli altri 92. Ogni giorno, per sei giorni la settimana (ogni istituto ha scelto un giorno di riposo a rotazione) gli otto detenuti di Monza – ma funziona allo stesso modo per tutte le altre carceri – vengono trasferiti al sito dell’Esposizione, dove lavorano per sei ore, accompagnando in giro i visitatori e fornendo le informazioni di orientamento. Hanno un regolare contratto e vengono pagati per il lavoro svolto – con uno stipendio inferiore di un terzo rispetto ai contratti collettivi nazionali, come previsto per i detenuti dalla legge 354 del 1975 – e questa iniziativa durerà fino alla fine della manifestazione, il 31 ottobre 2015.

C’è stato un lungo lavoro di selezione per decidere quali detenuti fossero idonei per lavorare all’interno di Expo: innanzitutto era necessario avere una buona condotta, poi i possibili candidati sono stati valutati nei mesi di marzo e aprile per poi avere la definitiva approvazione della magistratura di sorveglianza (che è l’organo che ha il compito di vigilare sull’esecuzione della pena e che decide sull’applicazione delle pene alternative alla detenzione o di sanzioni sostitutive). Il Ministero della Giustizia, in collaborazione con le varie strutture, sta già valutando altri progetti per dare poi un seguito a questa iniziativa, già a partire dal mese di novembre quando Expo sarà terminato, perché lo scopo finale è quello di aiutare i detenuti in un reinserimento più facile e graduale nella società.

Il carcere di Bollate non manda soltanto detenuti dentro Expo, ma data anche la grande vicinanza con il sito dell’Esposizione, apre ai visitatori il progetto “Jail Expo”, con mostre organizzate con l’Accademia di Brera, con la galleria d’arte Fabbrica Borroni e con l’associazione Bambinisenzasbarre. I detenuti sono stati coinvolti per realizzare pannelli esposti all’esterno del carcere, ma sono presenti anche altre iniziative per raccontare il modo di vivere in questo penitenziario, molto improntato al recupero dell’individuo e al reintegro nella società. La mostra è aperta un venerdì al mese ed è stata inaugurata il 19 maggio: per scoprire il calendario di apertura e per entrare bisogna contattare il carcere di Bollate (tel: 02 3820 1617) o l’associazione Bambini senza sbarre (tel. 02 711998, mail: associazione@bambinisenzasbarre.org).