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  • Lunedì 18 maggio 2015

Il “miracolo” del sottomarino Pacocha

Una storia di incidenti marittimi, suore beatificate e rischiosi salvataggi: è considerato dai cattolici uno dei "miracoli" recenti più convincenti

Una spiaggia a Callao, in Perù (MARTIN BERNETTI/AFP/Getty Images)
Una spiaggia a Callao, in Perù (MARTIN BERNETTI/AFP/Getty Images)

Sul Corriere della Sera di oggi l’esperto di cose vaticane Vittorio Messori racconta la storia del sottomarino peruviano Pacocha, affondato nel 1988 e considerato dalla Chiesa cattolica un luogo dove è avvenuto un miracolo. Secondo la Chiesa, infatti, il tenente della marina peruviana Roger Cotrina sarebbe riuscito a chiudere un portellone del sottomarino che stava imbarcando acqua – salvando così 23 persone – grazie all’aiuto “sovrannaturale” della suora croata Maria Petković, morta 22 anni prima. Petković è diventata beata nel 2003 proprio grazie al riconoscimento di questo “miracolo” (per poter essere considerati santi e beati dalla Chiesa bisogna che venga dimostrata dalla Chiesa stessa l’autenticità di almeno un “miracolo”).

Messori ha scelto di raccontare la storia del Pacocha dopo che un suo conoscente gli aveva richiesto di esporgli «un caso, anche uno solo, documentato in modo inoppugnabile e che fosse recente» di un fatto che considerasse un miracolo. In realtà l’episodio del naufragio del Pacocha viene ricordato più per il maldestro incidente fra i due veicoli e le complicate operazioni di soccorso che permisero di salvare 23 membri dell’equipaggio: e dell’impresa di Cotrina in giro si trovano pochissime tracce.

Dall’inizio
Il 26 agosto 1988 un sottomarino peruviano chiamato Pacocha – costruito dagli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale e venduto alla marina peruviana nel 1974 – ebbe un incidente con un peschereccio giapponese a poca distanza dal porto di Callao, in Perù. Stava entrando nel porto ed era parzialmente emerso dall’acqua, quando urtò contro il peschereccio. L’allora presidente del Perù Alan García Pérez all’epoca disse che «la nave giapponese si è scontrata con il sottomarino dopo che aveva visto la torre di controllo del sottomarino e l’aveva scambiata per una piccola barca».

Il sottomarino affondò dopo pochi minuti. Mentre 22 membri dell’equipaggio riuscirono a uscire dal sottomarino grazie all’apertura di alcuni portelloni e a gettarsi in acqua, altri 23 rimasero intrappolati e affondarono sul fondo dell’oceano dentro al sottomarino. Nel giro di pochi minuti morirono 7 persone: il capitano e tre membri dell’equipaggio erano riusciti a scappare poco dopo lo scontro con il peschereccio, ma morirono poco dopo essere tornati sul sottomarino per cercare di salvare altri marinai rimasti intrappolati dentro. Altri tre marinai morirono affogati pochi minuti dopo l’incidente perché rimasero in un settore del sottomarino allagato.

A questo punto entra nella storia Roger Cotrina, un tenente della marina peruviana in servizio sulla Pacocha. Lo stesso Cotrina ha raccontato che in seguito alla morte del capitano si era reso conto di dover chiudere uno specifico portellone che era servito per fare uscire alcuni membri dell’equipaggio, ma che ora rischiava di fare allagare il sottomarino e uccidere i membri dell’equipaggio ancora al suo interno. La Catholic News Agency, un’agenzia di stampa cattolica americana, racconta così quello che è avvenuto in seguito.

Racconta Cotrina: «non potevo respirare e così cominciai a pensare quanto più intensamente potevo a suor Maria Petković. Chiusi gli occhi e pregai. Ripetei le preghiere che conoscevo, continuavo a pensare a lei e all’improvviso vidi una luce molto intensa». In quel momento, una foza sovrannaturale lo aiutò a chiudere il portello. Una commissione militare successivamente stabilì che ciò che aveva fatto Cotrina era impossibile per un essere umano.

Il resto dell’equipaggio, composto da 22 persone più lo stesso Cotrina, restò sotto al mare per quasi 24 ore a circa trenta metri di profondità. Furono salvati con l’aiuto di una specie di “campana” isolante che portò in superficie due persone per volta.

Sul Corriere della Sera di oggi Messori racconta una versione piuttosto romanzata della vicenda, spiegando inoltre la connessione fra Cotrina e Maria Petković: secondo Messori «l’anno prima, l’ufficiale [Cotrina] era stato ricoverato all’ospedale di Lima e una delle suore infermiere gli aveva donato la biografia della religiosa» (Petković nel 1919 fondò la comunità delle Figlie della Misericordia, una congregazione di suore che si occupa di povertà e emarginazione).

Quando il sommergibile è interamente coperto dalle acque, ci si rende conto che quel portello usato come via di fuga non si è chiuso e non può chiudersi: per l’urto, le leve di chiusura sono uscite dai loro alloggiamenti e ne impediscono la serrata. Resta aperta, così, una larga fessura, da dove entra una cascata di acqua la cui portata, a causa della pressione, diventa tanto più violenta quanto più il sommergibile scende verso il fondo. Intanto, il giovane Cotrina giace ferito sul pavimento: proprio mentre cercava di aiutare i suoi marinai ad uscire, è precipitato dalla scaletta.

Ed ecco, proprio allora, l’imprevedibile. Il tenente di vascello testimonierà poi, davanti alle commissioni militari e nei processi ecclesiastici a cui sarà convocato, che fu investito da una «esplosione di luce», al centro della quale stava il volto sorridente di suor Maria di Gesù Crocifisso. L’anno prima, l’ufficiale era stato ricoverato all’ospedale di Lima e una delle suore infermiere gli aveva donato la biografia della religiosa. In quei momenti drammatici, il volto di suor Maria, visto sulla copertina del volume, gli appare come in un flash accecante e gli dà la certezza misteriosa di un aiuto risolutivo. Come investito da una forza sovrumana, pur ferito per la caduta e vincendo la forza dell’acqua che precipita, riesce ad arrampicarsi per la scaletta e a raggiungere il portello.

In seguito Messori ha dato anche una spiegazione “scientifica” del miracolo, attribuendo ciò che dice all’inchiesta della marina peruviana, a un’indagine della marina statunitense e al successivo studio di questi documenti della Congregazione delle Cause dei Santi, che si occupa di stabilire la veridicità dei presunti “miracoli”.

Come stabiliranno le inchieste della marina peruviana (affiancate da un’indagine della US Navy americana e passate infine al vaglio dei tecnici nominati dalla Congregazione per i santi) la pressione esercitata dall’acqua sul portello equivale a un minimo di cinque tonnellate, compensate per circa una tonnellata dalla pressione interna del sommergibile. Il giovane, dunque, deve sollevare quel portello, vincendo una spinta di quattro tonnellate, per permettere ai ganci di chiusura di rientrare nei loro alloggiamenti. Deve anche, nel frattempo, tenere una mano aggrappata a una maniglia per reggere alla violenza dell’acqua che rischia di travolgerlo. Inoltre, sanguina con abbondanza. A quanto pare, i massimi campioni di sollevamento pesi riescono a staccare dal suolo poco più di 450 chili. Ebbene, sotto le acque del porto di Callao il portello fu sollevato, i ganci furono fatti rientrare, la falla fu richiusa: il peso sollevato dal marinaio peruviano fu, dunque, di quasi dieci volte superiore ai primati olimpici.

Messori è uno dei “vaticanisti” più importanti in Italia: non è chiaro però dove abbia recuperato questa versione della storia del Pacocha. I giornali italiani e internazionali dell’epoca non riportarono il racconto di Cotrina e in seguito non hanno ripreso la storia. I documenti «aperti e a disposizione» di cui parla Messori, che confermerebbero l’impossibilità per un essere umano di riuscire a chiudere il portellone citato da Cotrina, non sono rintracciabili. Disasters of the Deep: A Comprehensive Survey of Submarine Accidents & Disasters, un libro pubblicato nel 2006 dallo scrittore esperto di vicende navali Edwyn Gray, cita la storia della Pacocha ma attribuisce la chiusura del portellone al capitano, che secondo il racconto di Cotrina invece era già morto.

Messori ha raccontato comunque che la Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto come vero il miracolo di Maria Petković nel 2002. Giovanni Paolo II l’ha quindi proclamata beata nel corso di una messa tenuta a Dubrovnik il 6 giugno 2003.