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  • Venerdì 3 aprile 2015

Da dove arriva al Shabaab

La storia del gruppo terrorista che ha compiuto la strage all'università in Kenya

Al-Shabaab insurgents seen with arms, in Mogadishu, Somalia, Saturday Dec. 27, 2008. Clashes between two rival Islamist militias in a central Somali town have killed at least ten people, witnesses said Saturday, as speculation continued over whether the president of Somalia's ineffectual U.N.-backed government would resign. (AP Photo/Farah Abdi Warsameh)
Al-Shabaab insurgents seen with arms, in Mogadishu, Somalia, Saturday Dec. 27, 2008. Clashes between two rival Islamist militias in a central Somali town have killed at least ten people, witnesses said Saturday, as speculation continued over whether the president of Somalia's ineffectual U.N.-backed government would resign. (AP Photo/Farah Abdi Warsameh)

Giovedì 2 aprile alcuni miliziani del gruppo estremista al Shabaab hanno attaccato un campus universitario a Garissa, nel nord-est del Kenya vicino al confine con la Somalia. L’assalto è durato diverse ore e si è concluso con l’uccisione di almeno 147 persone, tra cui molti studenti cristiani. Al Shabaab è un gruppo che si è formato in Somalia nella seconda metà degli anni Duemila: si ispira al wahhabismo, la visione dell’Islam adottata dall’Arabia Saudita, e dal febbraio 2012 è affiliato ad al Qaida. È uno dei gruppi terroristici più violenti del mondo e negli ultimi anni ha compiuto diversi attacchi sia in Somalia che in Kenya.

Da dove arriva al Shabaab
“Al Shabaab”, che in arabo significa “la gioventù”, si è sviluppato dall’Unione delle Corti Islamiche, una rete di gruppi islamici che all’inizio del 2006 prese il controllo di Mogadiscio, la capitale della Somalia. All’epoca le Corti Islamiche offrivano servizi simili a quelli che normalmente offre un governo locale: furono accolte piuttosto bene dalla popolazione, perché avevano riportato un certo ordine dopo le intense violenze che erano state compiute in Somalia dal 1991, cioè dalla deposizione dell’ex presidente somalo Mohammed Siad Barre. Le Corti rimasero a Mogadiscio fino a cavallo tra il 2006 e il 2007, quando i soldati dell’Etiopia intervennero in Somalia a sostegno del debole governo di transizione somalo.

L’intervento militare costrinse i leader delle Corti Islamiche ad allontanarsi da Mogadiscio: dall’ala più radicale dell’organizzazione emerse il gruppo di al Shabaab, che si ispirava a una versione wahhabita dell’Islam, a differenza della maggioranza della popolazione somala vicina al sufismo. Al Shabaab riuscì a rimanere a Mogadiscio, imponendo una versione ristretta della sharia in alcune aree sotto il suo controllo (per esempio erano previste punizioni molto dure per alcuni reati: le donne accusate di adulterio venivano lapidate, ai ladri veniva amputata una mano). Negli anni successivi al Shabaab cercò diverse volte di ottenere l’affiliazione con al Qaida, che gli avrebbe permesso di avere accesso a più soldi e risorse: stando a un report di Associated Press basato su alcuni documenti ritrovati nel nord del Mali e nella casa di Osama bin Laden in Pakistan, bin Laden rifiutò l’affiliazione ad al Shabaab più volte, chiedendo al gruppo di rivedere le sue operazioni allo scopo di “minimizzare i morti tra i musulmani”. Con la morte di bin Laden, comunque, le cose cambiarono: nel febbraio del 2012 il successore al vertice di al Qaida, il medico egiziano Aymar al Zawahiri, concesse ad al Shabaab l’affiliazione.

Gli attacchi di al Shabaab in Kenya
Nel corso degli ultimi anni al Shabaab ha compiuto diversi attacchi terroristici in Somalia, alcuni molti violenti: il 28 marzo scontro, per esempio, alcuni miliziani di al Shabaab sono entrati in un hotel di Mogadiscio uccidendo almeno 24 persone. Di recente il gruppo ha cominciato a compiere attacchi anche in Kenya, per punire il governo keniano per avere partecipato con i suoi soldati a una missione delle Nazioni Unite finalizzata a cacciare al Shabaab dalle più grandi città della Somalia. L’attacco all’università di Garissa è stato il 17esimo attentato di al Shabaab in Kenya, e anche il peggiore nel paese dalle bombe fatte esplodere all’ambasciata americana a Nairobi nel 1998, come mostra una mappa interattiva realizzata dalla società di consulenza IntelCenter. Un altro grande attentato di cui si era parlato molto sulla stampa internazionale era stato l’attacco al centro commerciale Nakumatt Westgate di Nairobi del 21 settembre 2013, dove erano rimaste uccise 67 persone (una mappa del New York Times localizza tutti gli attacchi compiuti da al Shabaab in Kenya, e associa il numero delle persone uccise).

Oggi si crede che al Shabaab sia formato da un numero di combattenti compreso tra settemila e novemila, molti dei quali sono stranieri: alcuni provengono da altri paesi del Medio Oriente e hanno combattuto in Iraq o in Afghanistan, mentre altri sono stati reclutati nel tempo nelle comunità somale degli Stati Uniti e dell’Europa. Da almeno due anni diversi giornalisti scrivono di tensioni interne al gruppo tra combattenti somali, legati a una lotta locale con obiettivi più limitati, e combattenti stranieri, i più estremisti e legati all’ideologia “globale” di al Qaida. Per esempio, la politica di colpire intenzionalmente i cristiani – come è successo sia all’attentato al supermercato di Nairobi sia all’università di Garissa – non è mai stata adottata sistematicamente dal gruppo intero: alcuni analisti hanno scritto che questo potrebbe dipendere da una forte mancanza di unità interna. Di recente, scrive il Guardian, al Shabaab ha cominciato a competere a livello di propaganda con un altro gruppo estremista islamista che opera in Africa, cioè Boko Haram, che a differenza di al Shabaab è affiliato all’ISIS.

Le autorità kenyane non sono ancora riuscite a fermare al Shabaab, per una serie di ragioni sintetizzate in sei punti in un articolo del Washington Post scritto nel giugno del 2014: il Kenya manca di un’intelligence efficiente, di una strategia definita nel campo dell’antiterrorismo, di equipaggiamenti adeguati ad affrontare pericoli alla sicurezza nazionale e di una cooperazione molto debole tra agenzie nazionali e anche tra governo e altri paesi della regione. Inoltre il Kenya ha fatto registrare indici molto alti di corruzione e ha mostrato di non avere le risorse adeguate per portare avanti le indagini su atti di terrorismo. Di fronte all’impossibilità di fermare gli attentati di al Shabaab, alcuni funzionari kenyani hanno anche ipotizzato di costruire un muro che divida il Kenya dalla Somalia, lungo tutto il confine condiviso tra i due paesi.