Ci sono nuovi indizi sulla vita su Marte

Il rover della NASA Curiosity ha rilevato un picco nella quantità di metano nell'atmosfera che i ricercatori non sono ancora riusciti a spiegarsi

Curiosity, il robot automatico (rover) della NASA che da oltre due anni viaggia e compie analisi su Marte, ha permesso di fare alcune nuove importanti scoperte che potrebbero aiutare i ricercatori a capire se sul pianeta ci sia mai stata la vita. Uno dei suoi strumenti ha rilevato infatti un picco nella quantità di metano – nell’atmosfera che ha intorno – 10 volte superiore rispetto a quella misurata nel punto in cui era atterrato nell’estate del 2012. La scoperta è stata effettuata nel corso di 4 mesi di misurazioni ma l’aumento netto di metano è durato poco tempo e i gruppi di ricerca che seguono la missione di Curiosity non sono ancora riusciti a spiegarne con certezza le cause.

La possibilità di trovare metano su pianeti diversi dal nostro interessa molto i ricercatori perché è considerato uno dei possibili indizi sulla presenza di vita, anche in tempi passati: moltissimi organismi viventi che popolano la Terra, infatti, producono grandi quantità di questo gas. La produzione di metano può però avvenire anche in seguito a processi geologici che non c’entrano direttamente con la vita, e questo potrebbe essere anche il caso di Marte. La presenza del gas su un altro pianeta è comunque un buon punto di partenza per la scoperta di forme di vita, almeno per come le conosciamo.

Metano
La scoperta resa possibile dalle misurazioni di Curiosity è stata pubblicata sulla rivista scientifica Science. Chi ha partecipato allo studio invita a essere molto cauti e ricorda che è ancora presto per arrivare a qualche conclusione certa sulla domanda delle domande: c’era o c’è vita su Marte? Grazie ai nuovi dati si possono però fare ipotesi e non può quindi essere escluso che sul pianeta ci siano alcuni microbi che producono metano.

Curiosity ha rilevato una concentrazione media di metano nell’atmosfera marziana pari a 0,7 parti per miliardo, ma con un picco temporaneo che è arrivato a 7 parti per miliardo. Il livello medio è piuttosto basso e inferiore rispetto alle stime e ai calcoli che erano stati effettuati in passato, sulla base di altri dati e delle teorie più condivise sulle caratteristiche del pianeta. Si tratta comunque di un dato superiore ai livelli rilevati in precedenza da Curiosity, che avevano deluso molto i ricercatori e spinto a rivedere il sistema di analisi dei campioni dell’atmosfera intorno al rover.

La prima misurazione sul metano fu eseguita nel novembre del 2013, trovando livelli pari a 5,5 parti per miliardo. Due settimane dopo i test furono eseguiti nuovamente da Curiosity, scoprendo che la concentrazione era passata a 7 parti per miliardo. Un ulteriore test diede lo stesso risultato, mentre un paio di settimane dopo un quarto test permise di rilevare una concentrazione pari a 9 parti per miliardo. Un mese e mezzo dopo fu eseguita un’ultima misurazione scoprendo un livello nella norma e vicino a quello della media di 0,7 parti per miliardo.

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I ricercatori non hanno ancora capito che cosa sia successo: un’ipotesi è che al momento della rilevazione Curiosity si trovasse nei pressi di una “sacca” di metano liberato improvvisamente da qualche parte nei pressi del rover. I livelli del gas sarebbero quindi aumentati repentinamente per poi diminuire quando si sarebbe dissipato. Il dato per ora non permette di escludere che si tratti del frutto di un’attività biologica o di attività geologica di qualche tipo nei pressi della superficie marziana.

Altre missioni spaziali realizzate in passato avevano già permesso di scoprire diverse fluttuazioni riconducibili al metano nell’atmosfera di Marte, ma nessuna sonda o rover aveva permesso di ottenere dati come quelli raccolti da Curiosity. Sulla base di queste informazioni i ricercatori potranno creare nuove simulazioni per capire meglio alcuni fenomeni legati all’atmosfera marziana. Curiosity non è però dotato di strumentazioni adatte per approfondire più di tanto le ricerche sul metano e sulla sua provenienza. Future missioni, già in programma, permetteranno di misurare in modo più accurato l’atmosfera e di conseguenza dare informazioni più precise su uno dei principali indizi per scoprire se da qualche parte, oltre la Terra, ci sia la vita.

Acqua
In un altro studio, pubblicato sempre su Science, sono state diffuse nuove importanti informazioni sulla storia antica di Marte, quando si suppone che il pianeta fosse molto diverso da quello brullo e rossiccio che conosciamo oggi. Utilizzando un campione di roccia trapanato da uno degli strumenti di Curiosity è stato possibile analizzare i livelli di idrogeno presenti nell’atmosfera marziana tra i 3 e i 3,7 miliardi di anni fa. L’idrogeno è insieme all’ossigeno un componente essenziale per formare l’acqua, la cui presenza allo stato liquido avrebbe potuto permettere la vita su Marte. I ricercatori vogliono scoprire quando l’acqua iniziò a scomparire dal pianeta, in modo da potere fare stime più accurate su come andarono le cose per eventuali forme di vita. I dati per ora suggeriscono che il processo di evaporazione dell’acqua avvenne ben prima della formazione della roccia analizzata da Curiosity, la cui età stimata è tra i 3,9 e i 4,6 miliardi di anni.

Composti organici
La NASA ha anche confermato che grazie alle analisi compiute sulla roccia è stato possibile identificare alcuni composti organici, che potrebbero essersi formati direttamente su Marte o essere stati trasportati in tempi remoti sulla sua superficie da una cometa o un asteroide, in seguito a un loro impatto con il pianeta. Le molecole organiche sono la base fondamentale per creare le forme di vita che conosciamo, ma la loro presenza non implica necessariamente che si possano formare esseri viventi. La scoperta non permette di dire con certezza se in passato Marte fosse la casa di almeno qualche tipo di microbo, ma permette comunque di capire meglio la composizione chimica del suolo marziano dei giorni nostri sulla cui base si possono fare ipotesi sul passato del pianeta.

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I ricercatori hanno lavorato per mesi per escludere che i dati raccolti da Curiosity potessero essere in qualche modo inquinati e imprecisi. Le analisi hanno permesso di scoprire che alcune misurazioni erano fuorvianti, perché le molecole identificate erano riconducibili a una contaminazione dello stesso Curiosity, che le aveva quindi portate su Marte dalla Terra. Esclusi questi dati, quelli restanti hanno comunque permesso di identificare la presenza di composti chimici organici, sulle cui caratteristiche ci sono però ancora molti dubbi. La presenza di perclorato nelle rocce e nel suolo di Marte altera la struttura dei composti organici quando le polveri trapanate da Curiosity vengono analizzate da uno degli altri strumenti del rover, che utilizza il calore per farlo. Nei prossimi mesi, i ricercatori identificheranno nuove rocce nei paraggi del robot su cui eseguire nuovi esperimenti, confidando di trovare altri composti organici e materiali per le loro scoperte.