Otto canzoni di Sam Cooke

Scelte dal peraltro direttore del Post tra quelle di uno dei più grandi cantanti soul di sempre, che ne scrisse anche molte cantate poi da altri e morì oggi cinquant'anni fa

Soul singer Sam Cooke is seen in ths undated photograph. AP Photo)
Soul singer Sam Cooke is seen in ths undated photograph. AP Photo)

Sam Cooke era un cantante di soul americano, considerato tra i più grandi interpreti di sempre di questo genere. Morì l’11 dicembre del 1964, ucciso dalla donna alla reception di un motel di bassa categoria a Los Angeles, in circostanze che non sono ancora state chiarite. Luca Sofri, peraltro direttore del Post, ha messo insieme una lista delle sue otto canzoni più belle nel suo libro intitolato Playlist.

Sam Cooke (Clarksdale,Mississippi, 1931– 1964,LosAngeles, California)
Fu per sette anni la versione faccia-pulita del soul, prima di esporsi nei movimenti per i diritti civili e di venire ucciso giovane in un motel. Ma alcune delle canzoni che altri sporcarono e arrichirono, le aveva scritte e cantate lui per primo, spadroneggiando nelle classifiche e nei locali alla moda.

You send me (1957)
“Tu mi spedisci”? Ai primi passi con l’inglese, si rimane un po’ spiazzati dall’espressione. Comunque la inventò il fratello di Sam Cooke, autore della canzone, e cantante pure lui. Fino a qui, Cooke era stato un cantante gospel: da qui cominciò a cantare alle ragazze, e fece subito il botto.

(I love you) For sentimental reasons (1957)
“Ti amo per ragioni sentimentali” è un titolo fantastico e definitivo, che ricorda quando sulle giustificazioni si scriveva che l’assenza era dovuta a “ragioni di famiglia” (seguite dall’altrettanto proverbiale formula del “chi ne fa le veci”). Era un vecchio pezzo portato a un primo grande successo da Nat King Cole dodici anni prima.

Wonderful world (1958)
Da non confondersi con l’ispirato pezzo di Louis Armstrong, questa è la canzonetta-anni-cinquanta perfetta, tutta leggerezza e preoccupazioni sentimentali e di pagella del liceo. La scrisse con Herb Alpert e Lou Adler (un formidabile playboy-produttore poi approdato sessantenne al matrimonio con la sorella di Daryl Hannah, trent’anni più giovane di lui), ed è geniale nell’accentazione di “istorì” e “baiologì”.

Chain gang (1960)
“Questo è il suono degli uomini ai lavori forzati”: pensate oggi, le interrogazioni parlamentari e le richieste di inasprimento delle pene, se un famoso cantante dedicasse una canzone alle sorti dei detenuti (prima o poi un famoso cantante canterà l’inasprimento delle pene, invece). Nel migliore dei casi, passerebbe inosservata a Sanremo, come “Aria” di Silvestri: “Chain gang” invece entrò nelle Top ten americana e inglese.

Bring it on home to me (Live at the Harlem Square Club, 1963)
Lei se n’è andata e lui la supplica di ripensarci e tornare, promettendo mari e monti: ma non è che sia pentito di averla trattata male, come accade in questo genere di storie soul. Anzi, lui la trattava benissimo, ma lei – la zoccola, insomma – stava fuori tutta la notte. Ma son quelle più difficli da dimenticare, e voi lo sapete. Il controcanto è di Lou Rawls, ma si raccomanda la versione sbaraglialoggione del Live at the Harlem Square Club.

Try a little tenderness (Sam Cooke at the Copa, 1964)
In Sam Cooke at the Copa c’è uno stupendo medley “Try a little tenderness-For sentimental reasonsYou send me”, che vale la pena anche solo per l’intro parlata in cui Cooke spiega “Try a little tenderness” dicendo che a volte gli uomini hanno la tendenza “a… trascurare” (“sort of… neglect”) le loro fidanzate. “Ho notato questa cosa”.

A change is gonna come (Ain’t that good news, 1964)
Era da un pezzo che voleva scrivere qualcosa ispirato dai tempi di cambiamento e dalle lotte per i diritti dei neri, ma tutti gli dicevano di non far correre rischi alla sua immagine da ballate romantiche. Però dopo “Blowin’ in the wind” di Dylan – e dopo essere stato arrestato perché voleva dormire in un motel per soli bianchi in Louisiana gli venne di dire la sua, e lo fece in modo memorabile, anche se la sua versione di “A change is gonna come” non fece subito sfracelli. La cosa più grande della canzone è la declamazione dell’attacco “I was booooorn…”, esaltata poi da Otis Redding.

Good times (1964)
L’autore di queste righe e suo fratello, da bambini, avevano inventato la categoria “trumpa trumpa”, per definire il ritmo allegro di alcune canzoni. Sam Cooke ha lavorato parecchio col trumpa trumpa, cantando di feste, sabati sera, e spassarsela o no: “twistin’ the night away”, come dice un’altra sua canzone.

Foto: AP Photo