L’economia russa è nei guai

Sanzioni, crollo del prezzo del petrolio e altri fattori interni stanno creando un insieme potenzialmente molto pericoloso per la Russia

Negli ultimi giorni analisti ed esperti hanno parlato di crisi dell’economia russa, legata soprattutto al crollo del rublo, la moneta nazionale della Russia. Il rublo sta continuando a perdere nei confronti di dollaro ed euro sin dall’inizio della crisi in Ucraina, lo scorso febbraio. A maggio, ad esempio, servivano 35 rubli per acquistare un dollaro. Sei mesi dopo ne servono più di 45. Da allora le cose sono peggiorate sempre più rapidamente. Nell’ultima settimana il rublo ha perso l’8 per cento del suo valore nei confronti del dollaro: il crollo più forte degli ultimi 11 anni.

La banca centrale russa ha cercato di combattere il crollo del valore della moneta utilizzando le riserve di valuta estera per acquistare rubli sul mercato (30 miliardi di dollari sono stati impiegati in questa maniera soltanto in ottobre). La banca centrale ha ancora circa 430 miliardi di dollari in valuta estera. Ciò nonostante ha detto che l’elevata richiesta di dollari in questi ultimi giorni (cioè, la richiesta di cambiare rubli in dollari) aveva le potenzialità per causare «instabilità finanziaria». Ora però, sempre secondo la banca centrale, la situazione si sarebbe tranquillizzata e non dovrebbero essere più necessari interventi straordinari per mantenere il rublo stabile.

Il prezzo del petrolio
Secondo la maggior parte degli esperti, una delle cause principali del crollo del rublo è legata al prezzo del petrolio, che quest’estate si vendeva a 110 dollari al barile ed oggi ne vale meno di 80. L’industria del petrolio e quella del gas naturale sono fondamentali per l’economia russa. Insieme valgono il 16 per cento dell’intera economia del paese e circa il 70 per cento di tutte le sue esportazioni. Metà delle entrate dello stato derivano dal petrolio e dal gas naturale (in sostanza, dagli utili delle compagnie petrolifere di proprietà pubblica). Il petrolio è così importante che il ministro dell’Economia ha annunciato una manovra economica correttiva, visto che il bilancio 2015-17 era basato su un prezzo del petrolio intorno ai 100 dollari al barile.

Secondo il Financial Times la diminuzione di circa il 20 per cento nel prezzo del petrolio non è sufficiente a spiegare il crollo del rublo degli ultimi mesi: una parte della responsabilità andrebbe attribuita anche alle scelte di politica estera del presidente russo Vladimir Putin. La Russia è attualmente in una situazione instabile, scrive il Financial Times, a causa della crisi in Ucraina e di tutte le tensioni internazionali che questa ha causato. Molti investitori si sono allontanati dal rublo a causa dei timori che i ribelli filo-russi in Ucraina orientale stiano preparando una nuova offensiva appoggiata dalla Russia. Se la tregua in Ucraina dovesse essere interrotta ufficialmente, probabilmente ci saranno nuove sanzioni da parte dei paesi occidentali.

Le sanzioni e i problemi interni
Le sanzioni europee e americane sembrano avere avuto un certo peso nella crisi dell’economia russa. Secondo William Pomeranz, un esperto di Russia del Woodrow Wilson Center (centro studi con sede a Washington), uno dei loro effetti è stato quello di impedire alla Russia di usare le classiche soluzioni che vengono adottate quando crolla il valore della moneta nazionale: ovvero più esportazioni, più consumi interni e più investimenti diretti esteri. Se una moneta cala di valore, infatti, diviene più conveniente acquistare merci prodotte in quel paese (sia all’estero che per i cittadini del paese stesso).

Le sanzioni hanno in parte frenato la possibilità di ricorrere a queste soluzioni: gli investimenti esteri sono oggi molto più complicati che in passato, così come le esportazioni. Ma, scrive Pomeranz, a danneggiare la Russia sono anche alcune caratteristiche intrinseche della sua economia. Ad esempio il fatto che il paese non produce quasi nient’altro che possa vendere all’estero (a parte il petrolio). E questa non sembra una situazione destinata a cambiare molto presto. I piccoli e medi imprenditori russi non sono soltanto iper-regolati, ma sono anche iper-perseguitati. Nel paese ci sono circa 3 milioni di piccoli e medi imprenditori, 110 mila dei quali sono attualmente in prigione. Statisticamente questo significa che in Russia chi possiede un’impresa ha più probabilità di finire in prigione di un criminale comune.

L’assenza di una classe imprenditoriale dinamica significa anche un’altra cosa: nonostante la caduta del rublo, poche imprese locali sono in grado di sfruttare il fatto che le merci esportate da Europa e Stati Uniti costino oggi molto di più. Per lo stesso motivo è difficile che il settore alimentare russo possa sfruttare più di tanto l’embargo che ha colpito alcuni alimenti prodotti nell’Unione Europea. Se le piccole e medie imprese non possono salvare la Russia, la risposta all’attuale situazione non arriverà nemmeno dalle grandi società pubbliche o semi-pubbliche, scrive Pomeranz. Le grandi aziende sono quelle più colpite dalle sanzioni. Per esempio Rosfnet, una società petrolifera pubblica, ha appena chiesto quasi 50 milioni di dollari in aiuti di stato.