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  • Martedì 16 settembre 2014

La menzogna assoluta in Ucraina

È quella dei russi, spiega un inviato del Sunday Times rispondendo a Barbara Spinelli sulle pigrizie dei giornali

Ukrainian servicemen sit atop of an Armoured Personnel Carrier during a patrol in Donetsk region on September 15, 2014. US-led military exercises began in Ukraine after a day of deadly fighting between government forces and pro-Russian rebels in the restive east that has piled pressure on a shaky 10-day-old truce. AFP PHOTO/ANATOLII STEPANOV (Photo credit should read ANATOLII STEPANOV/AFP/Getty Images)
Ukrainian servicemen sit atop of an Armoured Personnel Carrier during a patrol in Donetsk region on September 15, 2014. US-led military exercises began in Ukraine after a day of deadly fighting between government forces and pro-Russian rebels in the restive east that has piled pressure on a shaky 10-day-old truce. AFP PHOTO/ANATOLII STEPANOV (Photo credit should read ANATOLII STEPANOV/AFP/Getty Images)

Lunedì l’europarlamentare e giornalista italiana Barbara Spinelli aveva scritto sulla Stampa accusando i media di un racconto troppo facile e banalizzante della guerra in Ucraina, e sostenendo che lo scenario degli ucraini buoni contro i russi cattivi fosse falso e superficiale. Martedì sempre sulla Stampa le risponde Mark Franchetti, reporter del Sunday Times che ha seguito la guerra, confermando sia la superficialità delle semplificazioni giornalistiche (decise da chi fa i giornali, non da chi scrive, spiega Franchetti) che le bugie e gli inganni della propaganda ucraina. Ma anche ricordando a Spinelli che se si parla di bugie e inganni, quelli russi sono assai più estesi e potenti.

Essendo appena tornato dall’Est ucraino ho letto con interesse il commento di Barbara Spinelli sulla guerra civile in corso in quella regione, nel quale lei critica la stampa per non averla saputa raccontare con obiettività. Ho trascorso diverse settimane a scrivere reportage dall’Est dell’Ucraina e nel farlo ho dovuto negoziare per superare centinaia e centinaia di posti di blocco, presidiati sia dalle milizie filo-russe sia dall’esercito ucraino e da diversi battaglioni filo-Kiev finanziati privatamente.

Quello che colpisce è che, indipendentemente dallo schieramento di quelli con cui si parla, il messaggio è sempre lo stesso: «Perché la stampa non scrive la verità», chiedono gli uomini armati di entrambe le parti. Perciò le critiche della Spinelli, per quanto certamente più articolate e ragionate delle diatribe che si sentono normalmente sulla linea del fronte, non suonano come una novità.

Contrariamente a quello che lei afferma, però, non si può dire che sia mancata una appropriata copertura delle vicende ucraine. Conosco personalmente decine di giornalisti stranieri che, correndo grandi rischi personali, hanno fatto reportage sul conflitto nell’Est ucraino. Sei giornalisti sono stati uccisi, altri sono stati catturati, tenuti in ostaggio e picchiati. Ancora più numerosi sono stati quelli minacciati. Ma la Spinelli coglie un punto importante. Certe volte la stampa occidentale ha troppo rapidamente e prontamente semplificato quella che di fatto è la peggiore crisi tra la Russia e l’Occidente dai tempi dello scontro sui missili a Cuba.

La narrativa della nuova guerra fredda è risultata irresistibile per troppi giornalisti. Sappiamo che ci sono argomenti che provocano certe emozioni e suscitano certe paure nei lettori, e l’abbiamo sperimentato in decenni di confronto con l’Unione Sovietica. La paura vende. Accusare della crisi soltanto la Russia di Putin e raccontare che I russi stanno tornando a colpire tocca delle corde in molti, perché è una narrativa semplice e familiare. E in questo la nostra responsabilità nel soccombere alla nostra propaganda della Guerra Fredda e ai nostri pregiudizi istintivi è pari quasi a quella dei russi.

La verità è, come sempre, molto più complessa. Quello che abbiamo visto è un braccio di ferro sulle sfere d’influenza. Certamente la Russia interviene in Ucraina perché vuole conservarla nella sua orbita, ma anche l’Ue e l’America hanno pesantemente interferito in una crisi iniziata come puramente interna. Perché? Per attirare l’Ucraina nella propria sfera d’influenza e toglierla da quella russa.

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