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  • Mercoledì 9 luglio 2014

Perché Errani ha fatto bene a dimettersi

Per sagge ragioni di dignità e di calcolo personale, sue qualità da sempre, spiega Marco Imarisio

© Roberto Monaldo / LaPresse
09-07-2010 Roma
Politica
Palazzo Chigi - Incontro Governo/Regioni su manovra finanziaria - Conferenza stampa
Nella foto Vasco Errani, Roberto Formigoni, Renata Polverini con gli altri presidenti e rappresentanti delle regioni

© Roberto Monaldo / LaPresse
09-07-2010 Rome
Palazzo Chigi, meeting Government / Regions on fiscal consolidation - Press conference
In the photo Vasco Errani, Roberto Formigoni, Renata Polverini with other presidents and regional representatives
© Roberto Monaldo / LaPresse 09-07-2010 Roma Politica Palazzo Chigi - Incontro Governo/Regioni su manovra finanziaria - Conferenza stampa Nella foto Vasco Errani, Roberto Formigoni, Renata Polverini con gli altri presidenti e rappresentanti delle regioni © Roberto Monaldo / LaPresse 09-07-2010 Rome Palazzo Chigi, meeting Government / Regions on fiscal consolidation - Press conference In the photo Vasco Errani, Roberto Formigoni, Renata Polverini with other presidents and regional representatives

Vasco Errani si è dimesso martedì da presidente della regione Emilia-Romagna, dopo essere stato condannato in appello per falso ideologico; moltissimi nel suo partito lo hanno difeso, ricordando che in primo grado era stato assolto perché “il fatto non sussiste” e suggerendo che il PD si è privato di un buon amministratore per una sentenza che loro considerano immotivata. Sul Corriere della Sera di oggi, Marco Imarisio spiega perché Errani ha fatto bene.

Nel corso dell’ultimo anno Vasco Errani ha avuto molto spesso la sensazione di essere politicamente postumo in vita. L’ormai ex governatore dell’Emilia Romagna è sempre stato destinatario di una fama trasversale che gli attribuiva in egual misura intelligenza e indefessa capacità di navigazione. Sapeva di essere uno dei simboli principali di quell’ansia di ricambio che dopo i risultati «regionali» delle Europee, dove il Pd è salito di 14 punti oltre la vetta fatidica del 40,8 per cento, non era più soltanto necessaria, ma conseguente alle aspettative dei suoi elettori. L’unica corsa che davvero conta è quella delle primarie per la sua successione, per una poltrona che numeri alla mano non è contendibile e quindi finirà per rappresentare, al netto di scontri interni oggi non immaginabili, uno dei fiori all’occhiello dell’annunciato cambiamento di verso.

Matteo Renzi ha fatto dell’Emilia Romagna il suo laboratorio di mescolanza del partito, evitando la rottamazione degli ex bersaniani e imponendo la pace sociale che cerca di estendere su scala nazionale, a quanto pare con qualche difficoltà in più. Alla riuscita del processo di sintesi non è stata estranea il rapido viaggio a Canossa di quasi tutta la classe dirigente Pd. Il simbolo di questa conversione è il modenese Stefano Bonaccini, l’ex segretario regionale che ha aperto all’attuale presidente del Consiglio le porte del partito locale, che per indole e formazione dei residenti risultavano chiuse a doppia mandata. È stato premiato con un posto di rilievo a livello nazionale, che potrebbe addirittura rendere complicata la sua candidatura a presidente di Regione, dove un altro nome spendibile risulta essere quello dell’iper renziano della prima ora Matteo Richetti. Errani non aveva più neppure il potere di indicare un suo possibile delfino, perché quando rappresenti un passato recente che pochi hanno interesse a ricordare non puoi occuparti del futuro, neppure quando sei stato per quindici anni l’incarnazione della prosperità locale del tuo partito.

(continua a leggere sulla rassegna stampa Treccani)

nella foto, al centro, Vasco Errani (LaPresse)