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  • Mercoledì 4 giugno 2014

Il video della liberazione del sergente Bowe Bergdahl

Mostra la consegna agli americani del soldato ostaggio dei talebani per cinque anni: intanto però si discute del fatto che fosse davvero un prigioniero o un disertore

Mercoledì 4 giugno i talebani hanno diffuso un video che mostra la liberazione di Bowe Bergdahl, il sergente dell’esercito statunitense catturato nel giugno del 2009 in Afghanistan e liberato dopo cinque anni di prigionia (in cambio, da parte degli Stati Uniti, della liberazione di cinque talebani detenuti a Guantanamo). Nel video si vedono i combattenti talebani appostati su una collina a guardia del prigioniero seduto su un pick-up, si vedono l’arrivo e l’atterraggio di un elicottero americano (inizialmente si era parlato di diversi elicotteri e di alcune decine di soldati delle forze speciali americane) e il passaggio di Bergdahl dai talebani (che avevano un bastone con una bandiera bianca legata) ai soldati americani, dopo una rapida stretta di mano.

Lo scambio è avvenuto sabato sera (nel primo pomeriggio in Italia) nell’Afghanistan orientale. Il giorno seguente Bergdahl ha lasciato l’Afghanistan ed è attualmente ricoverato in un ospedale militare in Germania, dove rimarrà fino a quando non sarà abbastanza in salute per tornare a casa. Bergdahl era l’unico prigioniero americano in mano ai talebani: ha 28 anni, era stato rapito il 30 giugno del 2009, circa due mesi dopo essere arrivato in Afghanistan. Sarebbe stato tenuto oltre il confine con il Pakistan per gran parte della sua prigionia. Le trattative tra i talebani e il governo americano sono durate diversi anni e nell’ultima fase si sono svolte in Qatar, grazie alla mediazione del governo locale.

La liberazione del sergente ha suscitato però numerose critiche. Diversi esponenti del partito repubblicano, la stampa e i siti con­ser­va­tori hanno infatti denun­ciato la «trat­ta­tiva col nemico», che rischia di creare un precedente per il futuro. Mike Rogers, pre­si­dente della com­mis­sione intelligence della camera, ha dichia­rato che «il nego­ziato ha già messo una taglia sulla testa di ogni sol­dato americano rimasto in Afga­ni­stan». Diverse cri­ti­che – oltre a quelle più fantasiose sul fatto che il padre di Berg­dahl sia un cripto-musul­mano a causa della sua lunga barba o che Bergdahl sia come il ser­gente Brody della serie Home­land (chi l’ha vista capirà) – riguardano il fatto che Berg­dahl non sarebbe un «vero» prigioniero ma un diser­tore: le principali accuse sono arrivate dai suoi compagni.

Le circostanze sulla sua scomparsa, il 30 giugno del 2009, non sono ancora chiare, ma sembra ormai certo è che Bergdahl non sia stato sequestrato durante un’azione di guerra ma si sia allontanato volontariamente dalla sua base nella pro­vin­cia di Pak­tika, dopo aver lasciato la pistola. Secondo un’inchiesta militare del 2010 citata dal New York Times, prima di andarsene il sergente avrebbe anche lasciato un biglietto con scritto che aveva intenzione di «iniziare una nuova vita». Vengono citate anche una serie di email inviate ai geni­tori in cui diceva di essere disgustato dalla guerra e disil­luso dall’intervento ame­ri­cano: «Que­sta gente ha biso­gno di aiuto e invece hanno il paese più pre­sun­tuoso del mondo che gli dice che non sono niente, che sono stu­pidi, che non hanno alcuna idea di come vivere». Tutta la vicenda è stata raccontata nel 2012 in un lungo reportage per Rol­ling Stone da Michael Hastings, il gior­na­li­sta morto nel giugno del 2013 in un incidente d’auto a Los Angeles.

Nonostante i molti dubbi sulla storia di Bergdahl, dopo la sua liberazione, il mini­stro della difesa Hagel ha ricordato il «sacro impegno» al principio «leave no one behind», al dovere cioè di non abbandonare mai un com­pa­gno. Lo stesso concetto è stato ribadito dal presidente Obama: «La nostra tradizione militare è chiara: non lasciamo indietro i nostri soldati, facciamo il possibile per aiutarli. Verificheremo le circostanze che hanno portato alla cattura del sergente Bergdahl, ma per ora non è in condizione di parlare. Dopo cinque anni in mano ai talebani la sua situazione resta critica». Dopo cinque anni di prigionia, infatti, Bergdahl ha difficoltà a parlare inglese: parla pashtu, che aveva studiato prima di essere inviato in Afghanistan. Circola molto anche l’ipotesi che il sergente possa essere accusato formalmente di diserzione e affrontare dunque un processo: ma è ancora presto.

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