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  • Venerdì 16 maggio 2014

Una donna sudanese è stata condannata a morte per apostasia

Ha 27 anni, è incinta di otto mesi ed è cristiana: un tribunale di Khartoum l'ha condannata anche a 100 frustrate per adulterio

Aggiornamento di mercoledì 25 giugno: la donna ha cercato di prendere un volo per gli Stati Uniti – suo marito è statunitense – ma è stata fermata in aeroporto prima che potesse imbarcarsi. Una portavoce del dipartimento di Stato statunitense ha detto che «la sua famiglia è stata temporaneamente fermata per alcune domande riguardo i propri documenti. Non è stata arrestata».

Aggiornamento di lunedì 23 giugno: Meriam Yehya Ibrahim Ishag è stata liberata oggi, secondo quanto ha riferito il suo avvocato.

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Giovedì 15 maggio un tribunale di Khartoum, in Sudan, ha condannato a morte una donna sudanese per il reato di apostasia: l’abbandono volontario della fede religiosa. La donna si chiama Meriam Yehya Ibrahim Ishag, ha 27 anni ed è incinta di otto mesi: era stata arrestata nell’agosto del 2013 per adulterio – reato per il quale è stata condannata a 100 frustrate – perché si è sposata con un uomo cristiano del Sud Sudan. Sotto la legge islamica sudanese, infatti, il suo matrimonio non è valido: alle donne sudanesi è consentito sposarsi solo con uomini musulmani. Nel febbraio 2014 all’accusa dì adulterio è stata aggiunta anche quella di apostasia, dopo che Ishag ha detto di essere cristiana e non musulmana. Il suo avvocato ha detto che ricorrerà in appello.

Ishag si trova in carcere insieme al figlio di 20 mesi. Durante la lettura della sentenza, ha scritto AFP, il giudice ha detto: «Ti abbiamo dato tre giorni per ritrattare ma insisti a non tornare all’Islam». La donna aveva dichiarato in tribunale di essere cristiana e di non avere mai commesso apostasia. Al momento della seconda sentenza – la prima era stata pronunciata domenica, ma il tribunale le aveva concesso tre giorni per cambiare idea – c’erano due piccoli gruppi di persone fuori dall’edificio del tribunale, uno a sostegno di Ishag e un altro contro.

Secondo l’organizzazione internazionale non governativa Amnesty International, Ishag è stata cresciuta come cristiana ortodossa, la religione della madre, perché il padre musulmano non era presente durante la sua infanzia. Amnesty ha condannato la decisione del tribunale sudanese, sostenendo che si tratta di una sentenza basata solo sulle credenze religiose di Ishag.

Come ha scritto Osman Mohamed, l’inviato di BBC a Khartoum, le sentenze di morte sono applicate raramente in Sudan. Il Sudan Tribune ha scritto che non si hanno notizie di esecuzioni per apostasia dal 1991, cioè da quando fu adottato il Codice di procedura penale sudanese. Giovedì le ambasciate di Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Paesi Bassi hanno diffuso un comunicato congiunto per esprimere “profonda preoccupazione” rispetto al singolo caso di Ishag e a un più generale mancato rispetto della libertà religiosa nel paese.

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