Come funzionano gli 80 euro in busta paga

Arrivano da maggio, sono un bonus deciso dal governo Renzi che per il momento vale solo per quest'anno: ma ci sono alcune cose che non hanno convinto tutti

Mercoledì 23 aprile, un mese dopo il suo annuncio, il decreto che porterà da maggio a un aumento di 80 euro in busta paga per alcuni lavoratori è stato finalmente approvato e firmato dal presidente della Repubblica. Insieme al decreto è stata pubblicata anche la relazione tecnica, che spiega nei dettagli come l’aumento verrà messo in pratica. Come era stato anticipato negli ultimi giorni, si tratta di un bonus, una misura cioè valida soltanto per il 2014. Il governo ha promesso che dal 2015 la misura diventerà strutturale.

A chi tocca?
L’aumento in busta paga riguarderà i lavoratori dipendenti o assimilabili (come ad esempio i CO.CO.PRO) che hanno un reddito tra gli 8.145 e i 26 mila euro, circa 10 milioni di persone. Chi guadagna meno di 8.145 euro, circa 3 milioni di persone, non sarà toccato dal bonus. Si tratta della categoria dei cosiddetti incapienti, cioè coloro che guadagnano così poco che non pagano l’IRPEF. Il bonus, inoltre, non riguarderà i pensionati.

Per il 2014 il bonus è di 640 euro, che diviso per gli otto mesi del 2014 (da maggio a dicembre) fa esattamente 80 euro al mese. Tra i 24 mila e i 26 mila euro di reddito il bonus scende in maniera lineare, e diventa zero per chi guadagna più di 26 mila euro. In pratica, per ogni cento euro di stipendio in più sopra i 24 mila euro il bonus mensile cala di quattro euro. Il costo di questa misura è di circa 7 miliardi.

Come funziona l’aumento
Su lavoce.info Simone Pellegrino e Alberto Zanardi hanno spiegato i dettagli del decreto. Il governo ha definito l’aumento un “credito di imposta”, ma si tratta di una definizione non proprio corretta secondo i due economisti. Si tratta invece di un semplice “bonus”, un vero e proprio sconto una tantum che non modifica la struttura dell’IRPEF, ma che tira in ballo l’IRPEF soltanto perché il reddito ai fini dell’IRPEF è quello che viene utilizzato per definire a chi spetta e a chi non spetta il bonus.

Cose buone e cose meno buone
Questa settimana diversi commentatori ed economisti hanno commentato la misura del governo Renzi. Pellegrino e Zanardi hanno scritto che è positivo che il governo non abbia modificato i fondamenti dell’IRPEF, ma che abbia scelto la soluzione del “bonus”. La situazione dei conti pubblici e delle coperture, infatti, è ancora molto incerta e diverse delle risorse utilizzate per finanziare il bonus saranno recuperate solo quest’anno. Se il “bonus” fosse già stato introdotto con una misura strutturale ci sarebbero potuti essere problemi per finanziarlo l’anno prossimo.

Inoltre, spiegano Pellegrino e Zanardi, anche la scelta di utilizzare come strumento il bonus e non la detrazione fiscale permette che nel conto vengano inclusi anche alcuni incapienti, cioè quei lavoratori che guadagnano più di 8.145 euro, ma che grazie a varie detrazioni, come ad esempio quelle familiari, scendono di fatto sotto questa soglia. Si tratta di circa 1,1 milione di persone che riceveranno comunque il bonus di 80 euro.

Ma ci sono anche alcuni problemi. Dal punto di vista tecnico, l’esclusione degli incapienti comporta il fatto che, ad esempio, un lavoratore con reddito pari a 8.145 mila euro non otterrà alcun beneficio, mentre chi ha un reddito appena superiore, bastano 8.146 euro, otterrà l’intero bonus. Sarebbe stato meglio, scrivono i due economisti, cercare un meccanismo per rendere questo passaggio più graduale. Un problema simile c’è anche dall’altro lato, cioè per quei lavoratori che guadagnano tra i 24 e i 26 mila euro. In questa fascia, in soli 2 mila euro, il bonus sparisce e questo crea un profondo disincentivo ad esempio ad effettuare qualche ora di straordinario, per paura di perdere l’accesso al bonus. Inoltre il bonus è uguale per tutti i lavoratori, sia che siano single sia che abbiano una famiglia a carico.

C’è un’altra possibile criticità nel decreto che ha fatto notare l’economista Sandro Brusco sul blog NoiseFromAmerika. Immaginiamo un lavoratore che guadagna 700 euro al mese: sono 8.400 euro l’anno che danno diritto al bonus mensile da 80 euro. Cosa accade però se questo lavoratore da novembre subisce una riduzione di orario di lavoro e di stipendio? Se il suo reddito complessivo annuale a quel punto scende sotto gli 8.145 euro perderebbe l’accesso al bonus. Il timore di Brusco è che scritta così la legge, in cui si prevede che il bonus sia una sorta di credito d’imposta, il lavoratore possa essere costretto a restituire il bonus.