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  • Domenica 20 aprile 2014

L’ultimo ad abbandonare la nave

Il New York Times riflette sul secondo caso in due anni in cui il comandante di una nave viola un principio proverbiale

Il capitano della nave Sewol, che è affondata al largo delle coste meridionali della Corea del Sud causando almeno 56 morti e 246 dispersi, è da alcuni giorni agli arresti con l’accusa di negligenza e di avere abbandonato il traghetto durante le operazioni di soccorso, quando c’erano ancora centinaia di persone da mettere in salvo. La vicenda ha ricordato, soprattutto in Italia ma non solo, quella di Francesco Schettino, il capitano della Costa Concordia che nel 2012 abbandonò rapidamente la nave dopo che questa si era arenata lungo la costa dell’Isola del Giglio mentre molti passeggeri erano ancora a bordo. In un articolo pubblicato il 19 aprile sul New York Times, Christopher Drew e Jad Mouawad usano i casi dei due capitani per fare qualche riflessione sul modo di dire ormai proverbiale secondo il quale “il capitano è l’ultimo ad abbandonare la nave quando affonda”.

Nelle ore dopo il naufragio della Sewol, è circolata molto sui media coreani una foto che mostra il capitano Lee Jun-seok mentre viene aiutato a scendere dalla nave, ancora in piena emergenza e con molte persone da mettere in salvo. Sui siti sudcoreani il capitano è stato chiamato “il demone della Sewol” e ci sono state molte critiche nei suoi confronti da parte dei suoi colleghi, che hanno vissuto l’abbandono della nave come un’onta per la grande tradizione marittima della Corea del Sud.

Il capitano Lee è in carcere con accuse molto pesanti nei suoi confronti, mentre per Schettino è in corso il processo a Grosseto. L’ex capitano della Costa Concordia è accusato tra le altre cose di naufragio, omicidio colposo plurimo e abbandono di nave in pericolo.

Come spiega il New York Times, nella maggior parte dei casi nelle leggi marittime dei singoli paesi non ci sono articoli in cui si parla esplicitamente dell’obbligo di abbandonare per ultimi la nave, in caso di emergenza. L’assenza di una norma specifica è giustificata dal fatto che in alcuni casi il capitano può avere la necessità di salire su una scialuppa per coordinare meglio le operazioni di sbarco dei passeggeri e avere un quadro di insieme più completo di ciò che sta accadendo a bordo.

La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, adottata dopo il naufragio del Titanic nei primi del Novecento, indica il capitano come il responsabile della sicurezza della nave e di chiunque sia a bordo. Successive modifiche alla Convenzione hanno aggiunto alcune regole, come quella secondo cui una nave in pericolo deve essere completamente evacuata in un tempo massimo di 30 minuti.

La Sewol ha impiegato due ore e mezzo prima di affondare, ma molti passeggeri salvati dal naufragio hanno detto che mentre la nave iniziava a inclinarsi e a imbarcare acqua, diversi membri dell’equipaggio hanno invitato le persone a bordo a restare ai loro posti. Le istruzioni per evacuare la nave da parte del capitano sarebbero arrivate tardivamente e quando ormai l’imbarcazione stava sprofondando in mare. Le indagini su come siano andate le cose a bordo negli ultimi momenti prima dell’affondamento sono comunque ancora in corso, e non è del tutto chiaro che cosa sia successo durante l’emergenza.

Per dare qualche elemento di contesto a come si dovrebbe comportare un capitano in caso di emergenza a bordo, l’articolo del New York Times ricorda che cosa fece E. J. Smith sul Titanic dopo che il transatlantico andò a sbattere contro l’iceberg. Semplicemente, rimase a bordo fino all’ultimo dando una mano a circa 700 passeggeri, che riuscirono a salvarsi. Fece in modo che le donne e i bambini fossero evacuati per primi e continuò a coordinare le operazioni su uno dei ponti della nave fino a quando questa fu completamente affondata.

Nel 1956 quando si verificò l’affondamento della nave italiana Andrea Doria, che sbatté contro un’altra imbarcazione al largo dell’isola statunitense di Nantucket, il capitano Piero Calamai decise di rimanere a bordo dopo che erano stati salvati tutti i passeggeri, determinato ad affondare con la nave. I suoi ufficiali tornarono indietro e a fatica riuscirono a convincerlo a desistere e a seguirli prima che la nave si inabissasse.

Nel 1949 quando il sottomarino della Marina statunitense Cochino (SS-345) prese fuoco e stava per affondare nel Mare di Barents, non distante dalle coste della Russia, il capitano Rafael C. Benitez si rifiutò di abbandonare l’imbarcazione anche quando tutti i militari avevano raggiunto un’altra nave di appoggio per l’evacuazione. Benitez sperava di salvare il sottomarino e si convinse a lasciarlo solo quando i marinai ormai in salvo lo avvisarono che stava per affondare.

Più di recente, fece molto discutere e fu commentato positivamente il comportamento del pilota Chesley Sullenberger, l’autore dello spettacolare atterraggio di emergenza sul fiume Hudson del 2009. Quando furono uscite tutte le 154 persone a bordo, Sullenberger percorse avanti e indietro la cabina per assicurarsi personalmente che tutti i passeggeri e i suoi colleghi fossero effettivamente fuori dall’aereo. Fu l’ultima persona a lasciare l’aeroplano.

Per quanto se ne è saputo fino a ora, il capitano della nave sudcoreana Sewol non ha brillato per coraggio e altruismo nel corso del naufragio. Altre persone a bordo, invece, si sono dimostrate disposte a mettere in pericolo la loro vita per aiutare gli altri. Park Ho-jin, di 16 anni, ha trovato una bambina di 6 anni che se ne stava da sola, fradicia e impaurita, in un angolo della nave che stava affondando. Era stata lasciata lì dal fratello, che era tornato indietro per cercare la madre all’interno dell’imbarcazione. Park ha preso in braccio la bambina e l’ha portata verso uno dei canotti dei soccorritori prima di mettersi in salvo.

Park Ji-young, una ragazza di 22 anni e membro dell’equipaggio, ha aiutato diversi altri ragazzini a indossare i giubbotti salvagente e li ha convinti a tuffarsi nelle acque gelate del mare per raggiungere le navi dei soccorsi. È rimasta fino all’ultimo a bordo, senza un salvagente, dicendo ai ragazzini che stava aiutando che li avrebbe raggiunti in un secondo momento perché “l’equipaggio lascia la nave per ultimo”. Diverse ore dopo, il corpo della ragazza è stato trovato mentre galleggiava in acqua, nelle vicinanze del relitto della nave.