Perché Scajola è stato assolto

Il giudice ha detto che la casa al Colosseo – la storia per cui si dimise da ministro – fu davvero parzialmente pagata da altri «a sua insaputa»

Il 27 gennaio 2014 l’ex ministro Claudio Scajola, 66 anni, è stato assolto al termine di un processo riguardo la vicenda che nel 2010 portò alle sue dimissioni da ministro dello Sviluppo Economico: un appartamento di 210 metri quadrati a Roma, nei pressi del Colosseo (in via del Fagutale), secondo l’accusa era stato pagato in parte da un costruttore, Diego Anemone, mentre Scajola aveva versato una cifra molto inferiore al valore di mercato dell’immobile. Scajola all’epoca disse che Anemone aveva pagato parte della cifra «a sua insaputa», frase che generò molte ironie e prese in giro. I giudici però gli hanno dato ragione.

Per questa vicenda Scajola si era dimesso da ministro nell’allora governo Berlusconi il 4 maggio 2010 ed era stato rinviato a giudizio per finanziamento illecito alla fine del 2011. Nel corso del processo, il pubblico ministero aveva chiesto tre anni di carcere e una multa di un milione di euro. Anche Diego Anemone – coinvolto in alcune inchieste sui lavori per il G8 della Maddalena – era stato rinviato a giudizio, ma è stato assolto per prescrizione.

Martedì 11 febbraio sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di assoluzione di Scajola, che permettono di ricostruire la vicenda dal punto di vista giudiziario. Il giudice Eleonora Santolini ha scritto che, in effetti, Scajola «era inconsapevole» del fatto che il costruttore Diego Anemone avesse pagato alle proprietarie dell’immobile gran parte della somma d’acquisto dell’appartamento, circa 1,1 milioni di euro su un valore complessivo di 1,7 milioni. Il giudice ha ritenuto credibile la testimonianza di Scajola, secondo cui lui non aveva avuto modo di parlare con altri del prezzo dell’immobile e di rendersi conto del prezzo fuori mercato, perché tutto era stato gestito tramite un intermediario.

Il suo unico referente, in ordine all’acquisto del bene, era Angelo Balducci, persona vicina al Vaticano e conosciuta già dal 2000, che si era fatto carico di aiutarlo per la ricerca della casa a un prezzo di circa 600-700mila euro e poi in un secondo momento lo aveva di nuovo avvisato dell’opzione sull’immobile di via del Fagutale da parte del coimputato Anemone.

Secondo il giudice è possibile che Anemone e Balducci avessero pagato oltre un milione di euro di tasca loro – accordandosi autonomamente con le sorelle Papa, proprietarie dell’appartamento – per poter poi avanzare «richieste di favori» una volta messo Scajola «di fronte a un fatto compiuto»:

Non è inverosimile ipotizzare che Balducci, una volta avuta richiesta da Scajola di aiutarlo a trovare un’abitazione, possa aver pensato, unitamente ad Anemone, di sfruttare positivamente quella situazione, in vista di eventuali richieste di favori da avanzare all’allora ministro. Sicché, appare verosimile che i predetti personaggi, nella previsione di un netto rifiuto di Scajola a fronte di un’offerta di aiuto economico di quella portata, si siano determinati a versare il maggior prezzo di acquisto senza che Scajola ne fosse a conoscenza, ben consapevoli di porlo, a quel punto, di fronte a un fatto compiuto e, conseguentemente, in una situazione di sudditanza psicologica e di condizionamento, a causa delle evidenti implicazioni negative che si sarebbero abbattute sull’allora ministro nel caso in cui la notizia fosse diventata di dominio pubblico.

Quanto alla casa, il ministro ha detto in occasione della lettura della sentenza di non abitarci più da quasi due anni e di volerla vendere al più presto, dicendo «Non ci voglio più mettere piede» e «Non ne voglio più sentir parlare».

Foto: la conferenza stampa in cui Scajola annunciò le sue dimissioni, 4 maggio 2010.
(CHRISTOPHE SIMON/AFP/Getty Images)