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  • Sabato 25 gennaio 2014

I cercatori di soldati morti

Le storie dei volontari che ogni estate in Russia cercano i resti dei quattro milioni di persone morte nella Seconda guerra mondiale, considerate ancora "disperse"

Members of a Russian team that looks for the remains of Red Army soldiers killed while fighting against Nazi Germany’s forces during World War II excavate the remains of what is thought to be a soldier found in the woods north of Novgorod on May 3, 2011. The remains were partially buried and will be transferred to a labratory for identification. AFP PHOTO / MIKHAIL MORDASOV (Photo credit should read MIKHAIL MORDASOV/AFP/Getty Images)
Members of a Russian team that looks for the remains of Red Army soldiers killed while fighting against Nazi Germany’s forces during World War II excavate the remains of what is thought to be a soldier found in the woods north of Novgorod on May 3, 2011. The remains were partially buried and will be transferred to a labratory for identification. AFP PHOTO / MIKHAIL MORDASOV (Photo credit should read MIKHAIL MORDASOV/AFP/Getty Images)

Il 22 giugno 1941 Adolf Hitler lanciò la cosiddetta “operazione Barbarossa” per conquistare l’Unione Sovietica. Le cose alla fine andarono diversamente, ma sul fronte orientale della Seconda guerra mondiale persero la vita 26 milioni di persone tra soldati e civili. Quattro milioni di corpi non sono mai stati trovati: ufficialmente quelle persone sono considerate missing in action (disperse in azione). Un articolo e un documentario della BBC raccontano la storia dei gruppi di volontari che ogni anno passano le estati a setacciare i luoghi delle più sanguinose battaglie dell’epoca alla ricerca di resti di cadaveri per poter ricostruire le loro storie, contattare le famiglie e dar loro una sepoltura.

Come mai milioni di morti non furono sepolti?
Durante la campagna di Russia in pochi mesi l’esercito tedesco arrivò alle mura di Leningrado (oggi San Pietroburgo). Durante la loro rapidissima avanzata i tedeschi spazzarono via i reparti dell’Armata Rossa che gli si opponevano, e nessuno in quei giorni si preoccupò di dare ai morti una giusta sepoltura.

Alle porte di Leningrado però la resistenza sovietica si dimostrò più vigorosa del previsto e i tedeschi cambiarono strategia, decidendo di prendere la città di assedio. La BBC racconta come i russi si difesero dagli attacchi tedeschi: erano poco e male armati ma combattevano strenuamente, e a volte due soldati dividevano un solo fucile che spesso era una vecchia arma dell’epoca zarista. Migliaia di soldati russi morirono cercando di rompere l’assedio dei nazisti. Soltanto sulle rive del fiume Neva, per esempio, morirono in 260.000.

Durante e dopo le battaglie, spiegano i ricercatori, c’era poco tempo per recuperare e seppellire i caduti, che venivano lasciati sui campi di battaglia. A volte, invece, venivano scavate in fretta delle fosse comuni per evitare la formazione e diffusione di epidemie. Inoltre, come spiega Ilya Prokoviev, il governo sovietico negli anni Sessanta si impegnò per nascondere i cadaveri e cancellare le tracce della guerra: i campi di battaglia furono fatti arare e alberi furono piantati dove giacevano i soldati insepolti. Oggi, se si confrontano le mappe della guerra con quelle attuali, si possono vedere come esistano nuovi boschi dove si combatterono le più atroci battaglie dello scontro.

Cercare i corpi
Circa ottanta chilometri a sud di San Pietroburgo un gruppo di volontari, gli Esploratori, ha setacciato un’area di circa dieci chilometri quadrati dove si stima che circa 19.000 soldati sovietici furono uccisi in pochi giorni nel 1942. I volontari hanno perlustrato il terreno usando metal detector o lunghe pertiche di metallo che infilano cautamente nella terra. I corpi dei soldati solitamente si trovano a poche spanne di profondità: spesso affiorano e i ricercatori li vedono emergere dal terreno.

Ilya Prokoviev è uno dei più esperti tra i volontari. Trovò il suo primo corpo circa trent’anni fa durante una passeggiata in campagna: “Stavo attraversando una palude quando ho visto degli stivali che spuntavano dal fango. Poco più in là vidi un elmetto sovietico, togliendo un po’ di muschio trovai il corpo di un soldato”. Ilya continuò le ricerche e si rese conto allora che di corpi da trovare ce ne erano tantissimi, ovunque.

Una volta che i corpi vengono estratti, i ricercatori tentano di identificarli e ricostruire le loro storie. I soldati sovietici non avevano medaglie identificative ma portavano con loro delle capsule di ebano che contenevano foglietti di carta piegati con alcune informazioni. A distanza di decine di anni la carta e l’inchiostro si sono però deteriorati, rendendo le informazioni anagrafiche dei soldati illeggibili. In altri casi i soldati non scrivevano le loro informazioni personali per la credenza superstiziosa che questo li avrebbe condannati a morte sicura.

Nei casi in cui si riesce a ricostruire l’identità dei soldati, i volontari cercano di mettersi in contatto con le famiglie. Anche questa operazione si rivela spesso piuttosto difficile: molte famiglie, infatti, emigrarono dopo la guerra. Quando i ricercatori riescono a trovarle, spesso le reazioni, anche a distanza di anni, sono molto emotive. Capita che figli e parenti dei soldati morti viaggino anche diverse ore per seppellire i resti dei loro cari. Per molti di loro la scomparsa di genitori o coniugi ebbe conseguenze terribili: il documentario racconta che in alcuni casi i soldati i cui corpi non furono ritrovati vennero considerati disertori, e le loro famiglie ostracizzate e cacciate dalle loro comunità; in generale, il fatto che i corpi dei soldati non venissero rinvenuti significava che le loro famiglie non avevano diritto alla pensione che spettava alle famiglie dei caduti. Questo portò diverse famiglie alla povertà.

Alla fine di ogni ciclo di ricerca i volontari organizzano funerali per i corpi trovati. I resti dei soldati vengono riposti in decine di bare: ognuna di esse, per ragioni economiche, contiene i resti di dieci-quindici persone. Giovani ragazzi indossano vecchie uniformi sovietiche e formano un drappello d’onore. Le bare vengono poste in nuove fosse, le cui pareti sono adornate da drappi rossi: un onore militare solitamente riservato solo ai generali.

A questo punto, racconta la BBC, i volontari fanno ritorno alle loro vite “ordinarie”, dopo settimane passate in tenda accampati nei boschi. Per alcuni di loro tornare a casa è piuttosto traumatico. La ricerca dei caduti, per molte persone, ha un significato profondo: significa potersi riconnettere con un passato che lo scioglimento dell’Unione Sovietica ha reso per molti più lontano di quanto non sia temporalmente.

Passato l’inverno le ricerche riprenderanno, ma secondo i ricercatori ci vorranno decine di anni prima che tutti i corpi possano essere trovati e sepolti. Anche perché ogni anno che passa diventa più difficile trovare i resti e ricostruire le identità dei soldati.