Cosa vuol dire “cupio dissolvi”

Storia dell'espressione che Letta ha portato sulle prime pagine, che ha origini molto antiche e una nuova diffusione recente

L’espressione latina cupio dissolvi circola molto sui media italiani da domenica, a causa di una dichiarazione del presidente del Consiglio Enrico Letta. Nel corso di una visita a Malta, parlando della possibilità che il suo governo cada dopo la decadenza da senatore di Berlusconi e un’eventuale scissione del PdL, Letta ha detto: «continuo a non vedere quali alternative serie per il paese ci siano intorno al cupio dissolvi: non porta a nulla». Letta intendeva dire che un’eventuale sfiducia al governo da parte del PdL o della nuova Forza Italia sarebbe un gesto sostanzialmente autolesionista, per loro e per il paese. Letteralmente, infatti, cupio dissolvi significa «desidero ardentemente essere sciolto (dal corpo)» – cioè morire.

L’espressione viene comunemente fatta risalire alla lettera di San Paolo di Tarso ai Filippesi, un libro del Nuovo Testamento databile attorno al 53 e il 62 dopo Cristo. Nella lettera, San Paolo scrive che nel corso della sua vita si è trovato di fronte alla scelta di «vivere nel corpo e lavorare con frutto» oppure di «essere sciolto dal corpo per essere con Cristo», cioè morire e raggiungere anzitempo Gesù Cristo nel cosiddetto “regno dei cieli” cristiano, secondo una divisione molto netta fra anima e corpo tipica della tradizione filosofica greca. Nel Medioevo la frase è stata molto dibattuta dai teologi cristiani, riguardo al complicato tema della giustificazione del suicidio: col tempo il significato più diffuso è stato il desiderio di uno stile di vita ascetico, distaccato dalla materialità del mondo, e poi l’annullamento volontario – e quindi autolesionistico – della propria persona.

Ma la lettera ai Filippesi riporta un’espressione diversa da quella utilizzata da Letta, e cioè τὴν ἐπιϑυμίαν ἔχων εἰς τὸ ἀναλῦσαι (ten epithumìan echon eis to avalysai), tradotta letteralmente in latino nella Vulgata (cioè l’edizione ufficiale della Bibbia fino al 1965) come “desiderium habens dissolvi”, cioè “avendo io il desiderio di essere dissolto”. Con tutta probabilità si trattava di un concetto religioso che circolava in varie forme, poi stabilizzatosi nella forma cupio dissolvi presente già in Tertulliano, uno scrittore cristiano che scriveva in latino attorno al secondo secondo d.C., che nel De patientia (“Riguardo la pazienza”) scriveva in un passaggio Cupio dissolvi et esse cum Christo, dicit Apostolus: cioè “desidero ardentemente di essere sciolto ed essere in compagnia di Cristo, come disse l’Apostolo”, con riferimento proprio a San Paolo.

L’espressione è stata usata nel contesto politico e giornalistico almeno dall’inizio del Novecento, secondo l’archivio storico della Stampa: il primo articolo nell’archivio in cui se ne è fatto uso è del 1907. Sempre secondo l’archivio storico della Stampa, l’uso di cupio dissolvi è aumentato fra il 1970 e il 1990, quando è apparso in 56 articoli. Da allora è usato piuttosto di frequente: dal 1990 al 2006, in soli diciassette anni, è apparso in 136 articoli del quotidiano di Torino. Secondo l’archivio storico del Corriere della Sera, inoltre, negli ultimi anni l’espressione è stata utilizzata da noti personaggi pubblici fra i quali, per esempio, Fabio Granata, Sandro Bondi, Enzo Bianco, Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni.

Nella foto: un affresco di Andrej Rublëv del 1407 che raffigura San Paolo